lunedì 28 dicembre 2009

La Presa di Roma su Milano Finanza

La Presa di Roma di Cerasa svela un Alemanno inedito

Nei giorni in cui il centro-destra candida Renata Polverini, segretaria dell'Ugl, alla presidenza della regione Lazio, mentre il centro-sinistra, ancora preda dei postumi del caso Marrazzo, non ha ancora trovato il suo campione, è sicuramente utile leggere La Presa di Roma, il bel libro che Claudio Cerasa ha dedicato al ciclone elettorale che poco più di un anno fa ha spazzato via il «Modello Roma», quel misto di strategia di comunicazione e potere reale che ha gestito la Capitale per quindici anni, durante i quattro mandati di Francesco Rutelli e Walter Veltroni.

Il libro, edito dalla Bur, si legge d'un fiato. Montato come un'inchiesta giornalistica non trascura la profondità d'analisi più tipica del saggio, riuscendo a radiografare i perché di una sconfitta storica, ma anche a raccontare ciò che c'è dietro la strategia del nuovo sindaco, Gianni Alemanno, impegnato a conquistare tutti i gangli di potere, anche quelli più nascosti, che muovono una realtà complessa com'è Roma. Già perché a franare il 28 aprile del 2008 non è stata solo una maggioranza politica, ma anche un accordo trasversale che ha guidato, con la tradizionale riservatezza dei due sottoscrittori, ogni scelta fondamentale per la Capitale. L'accordo siglato dai due «gemelli diversi», Goffredo Bettini e Gianni Letta. Cerasa, giovane cronista del Foglio (è nato a Palermo nel 1982), è abituato, infatti, a cercare cosa si muove sotto la superficie della cronaca politica, così nel suo libro racconta tutti i retroscena di una battaglia ancora in corso e di cui non si è ancora trovata traccia sulle pagine dei quotidiani. Lo scontro tra il sindaco e il principale collaboratore del premier Silvio Berlusconi. Sì, perché se Bettini è finito in un cono d'ombra dopo che Walter Veltroni (di cui era una sorta di Richelieu) ha lasciato anche la segreteria del Pd, Letta è ancora in sella, ben deciso a non perdere la presa. (riproduzione riservata)

La Presa di Roma sulla Stampa

A guardarci dentro e guardarci dietro, la conquista del Campidoglio da parte di Gianni Alemanno (ormai un anno e mezzo fa, e contro un ex sindaco, Francesco Rutelli, che aveva portato in fondo due mandati di buoni successi) ha una quantità di spiegazioni, e non tutte scontate. E per esempio salta fuori che uno alla Gianni Letta, dipinto dalla pubblicistica come quello che vola altissimo, fra servizi segreti d'eccellenza ed eccellenze cardinalizie, tutto un potere gestito all'ombra e a maggior gloria del premier, ecco, uno alla Gianni Letta coltiva le sue mille influenze nella capitale sin da quando dirigeva il Tempo, e naturalmente all'ombra continua a coltivarle.

Oppure salta fuori, pi dettagliato del previsto, l'improvviso sodalizio tra Alemanno e Francesco Gaetano Caltagirone; perché a Roma non si vince se non si hanno i palazzinari dalla propria. In verità, a Roma non si vince se non si hanno i palazzinari dalla propria, ma anche le municipalizzate, oppure i circoli della bella gente danarosa, nobile e annoiata. Non si vince se non si hanno dalla propria i tassinari che di colpo, in tempo d'elezioni, tralasciano di sintonizzarsi sulla solita stazione full-football e si danno all'informazione politica e alla propaganda coi clienti in un circolo virtuoso ed efficacissimo. Non si vince se il Vaticano non strizza l'occhio, Non si vince (era il pregiudizio) specialmente se il centro storico, fighetto e radical chic, tutto una botteguccia, un aperitivo, tutto una pashmina e una spettinatura eccetera, sta dall'altra parte. Una delle pi felici intuizioni di Claudio Cerasa, giovane cronista del Foglio, è stata quella di cominciare il suo fitto e dovizioso libro (La presa dì Roma, Bur, pp. 218, 9,80) dalla constatazione fattuale che le periferie hanno stretto il centro - lo hanno accerchiato - riducendolo a enclave del birignao, che poi non è una cosa piovuta dal cielo, visto che già alle Politiche del 2006 molte borgate avevano scelto la Casa delle libertà.

E per lì c'è stata la presa d'atto che la strategia veltroniana del concertume, delle notti bailade dei red carpet, era una strategia ch forse portava del prestigio, l'applauso dell'intellighenzia, ma ai margini del l'impero si restava nel solito degrado che non è soltanto buca nella strada, Sono almeno tre o quattro i capitoli che sanno spiegare in profondità le ragioni dell'inatteso trionfo dell'onda nera (come sciaguratamente la definì Rutelli), quello sui tassisti, coi ritratti dei peggiori ceffi della categoria, quello sull'oro dei circoli, con la fotografia di gruppo dell'eterno generone danaroso incapace di mettere il tappo alle piscine, quello sulla finanza che decide di puntare su un cavallo nuovo per proseguire la cavalcata. E, forse per la ragione che il libro è stato concepito a ridosso del trionfo, ne viene fuori la figura di un Alemanno intelligente, scaltro, ben posizionato e agganciato, e cioè il vero uomo della successione a Silvio Berlusconi, una successione che già oggi pare sfiorita.
Mattia Feltri
17/12/09

mercoledì 18 novembre 2009

La Presa di Roma sul Secolo D'Italia (intervista)

Claudio Cerasa, autore del libro dedicato ai primi diciotto mesi di governo del Pdl a Roma «Sono le idee di una destra moderna»
Roma. Claudio Cerasa, redattore capo del Foglio è autore del libro La presa di Roma, (Bur, 207 pagine, 9,80 euro). Un libro inchiesta che racconta la svolta di una città che ha cambiato colore politico, dopo quindici anni ininterrotti di giunte rosse ed è passata al centrodestra. Una svolta che ha portato all'elezione di Gianni Alemanno, primo sindaco ex missino, e che ha mandato in soffitta il «modello Roma» ideato da Goffredo Bettini e Walter Veltroni. Un libro che descrive i primi diciotto mesi del centrodestra alla guida della Capitale. Cerasa, 27 anni, nato a Palermo, ama definirsi «un osservatore esterno del pensiero alemanniano».
La Fondazione Nuova Italia ha presentato l'agenda delle priorità da indicare al governo. Una sollecitazione che la sorprende?
No, assolutamente. Mi sembra coerente con la politica espressa finora dal sindaco di Roma, che potrebbe rappresentare al meglio la risposta del Popolo della libertà alla Lega.
In che senso?
La sua è una politica espressa concretamente, sul campo, che finora ha pagato in termine di consensi come dimostra la vittoria alle Comunali.
Differenze con le posizioni del resto degli esponenti Pdl?
Sostanzialmente la trovo molto coerente con il percorso di Alleanza nazionale. Negli ex An, ci sono più differenze di forma che di sostanza.
Ad esempio?
Prenderei a modello le forme di comunicazione tra Gianfranco Fini e Gianni Alemanno. Il primo ha un rapporto più dialettico con Berlusconi, il secondo preferisce lavorare più dal punto di vista quotidiano con attività di amministratore pubblico. Alla fine, però, non scorgo grandi discrepanze. Semmai, da entrambi arrivano dei segnali molto positivi per l'immagine di una destra moderna.
Quali?
Faccio l'esempio delle recenti dichiarazioni pubbliche per una destra dei diritti, una destra garantista. Parlo sempre da osservatore esterno ma sono davvero lontani le immagini che arrivavano di una destra caciarona e giustizialista. Su questi argomenti la destra finiana e alemanniana segnano un dato di grande maturità.
Tra i convegni della Fondazione Nuova Italia quali quelli che solleticano maggiormente la sua attenzione?
Sicuramente quelli sul Welfare. Ad esempio il tema della partecipazione dei lavoratori ai destini della loro impresa mi sembra particolarmente significativo. Questa sponda con gli ex socialisti continua. La Fondazione di Alemanno con Giulio Tremonti, Maurizio Sacconi, noi al Foglio li abbiamo ribattezzati i bismarckiani rappresentando una specie di corrente del socialismo tricolore.
Nel suo libro lei insiste sul dualismo Alemanno-Lega. Come mai?
Mi pare che sia evidente. Eppure c'è un altro dato politico strano. Nella storia repubblicana non esistono grandi leader che rappresentano Roma. Non c'è un politico che sia espressione della capitale. E non c'è mai stato nessuno, a parte Massimo D'Alema e Giulio Andreotti, presidente del consiglio romano. La Lega parla tanto di Roma ladrona, ma questo invece è un dato che balza decisamente all'occhio.
18/11/2009

lunedì 16 novembre 2009

Caloche, pioggia, Bertolaso e brillantini

 

Da oggi questo blog ospiterà periodicamente alcuni commentini esterni il più possibile politicamente non corretti su vari argomenti. Qui si parla di moda e politica

"Speriamo che piova", cosi suonava una vecchia canzone di Fabio Concato che osservando le vetrine delle nostre città potrebbe diventare il melanconico refrain di questo autunno-inverno: una autentica "inondazione" di stivali di gomma per delle piogge che, a giudicare dalle previsioni dei trend setters, promettono di essere di gran lunga peggio di quelle tropicali.

Intanto però la pioggia tarda ad arrivare, l'estate di San Martino ci continua a regalare temperature deliziosamente miti per la stagione e dalle vetrine di tutti i negozi, ma proprio tutti (dal marchio di grido più in alla catena dozzinale dove non compreresti nemmeno un ombrellino da viaggio) fanno capolino una miriade di modelli che ci ripropongono le vecchie caloche che ci metteva la mamma da piccoli in tutte le fattezze possibili.

Ci sono quelle basic, che vogliono somigliare sempre più a uno stivale normale, sfoggiando però quell'allure sportivo, che fa tanto sciura che va al mercato il sabato mattina e che costano comunque un occhio della testa. Poi ci sono quelle imbottite di pelo, di lana, coperte di lurex o brillantini, a fantasia o tinta unita con calzettone di lana incorporato per scongiurare eventuali geloni invernali (cosa che a Roma sono ben rari). Infine trovi quelle griffatissime, cosi belle e cosi chic, ma con un prezzo decisamente esagerato se pensi che dopotutto si tratta pur sempre di uno stivale di gomma.

Ma noi donne, si sa, abbiamo bisogno di sentirci sempre un po’ bimbe e cosa c'è di meglio di un accessorio vezzoso per soddisfare le nostre regressioni infantili e placare il nostro bisogno disperato di shooping? Ma allora, dannazione, perché la metereologia non ci viene incontro? E’ vero, per tutta la vita abbiamo combattuto pioggia, neve e umidità come eterne nemiche delle nostre indomabili capigliature (nessuna, ma proprio nessuna, ama andare in giro con una testa simile a un fungo atomico), ma adesso quei simpatici stivaloni colorati e lucidi potrebbero invece riuscire a farci tollerare quei fenomeni atmosferici che da sempre ci rendono schiave di noiosissimi e costosissimi rimedi anti crespo.

E poi proprio ora che Bertolaso ha dato il suo forfait per un nuovo mandato alla protezione civile, beh, ci saremo anche noi a dare il nostro contributo: un esercito di fashion victims armate di confortevolissime caloche, pronte per affrontare con coraggio le prossime torrenziali piogge.

Georgina Dress

sabato 14 novembre 2009

La presa di Roma sul Tempo

Ci sono almeno due buone ragioni per comprare (e leggere) «La presa di Roma» di Claudio Cerasa (Bur, 218 pagine, 9,80 euro). La prima è che a un anno e mezzo di distanza dalla storica elezione di Gianni Alemanno a sindaco della Capitale il libro ricostruisce i motivi del successo dell'esponente del Pdl e del tonfo del centrosinistra. La seconda ragione è che Cerasa, brillante giornalista del «Foglio», ha 27 anni. In quest'Italia magra di speranze, orientata al successo effimero della tv, i giovani autori sono da incoraggiare a prescindere. Il testo peraltro si misura con domande scomode e non nega risposte. Innanzitutto: cosa c'è dietro l'inversione di rotta che ha sconvolto la geografia del potere italiano? E poi: chi sono gli uomini che oggi hanno il vero controllo di Roma? In effetti se la più celebre «Presa di Roma» è quella del 20 settembre 1870, che decretò la fine dello Stato pontificio, anche questa, del 28 aprile 2008, farà storia. Il consenso del sindaco Veltroni si è sgretolato e Gianni Alemanno è riuscito a scalare il Campidoglio. Tutto è cominciato a Ponte di Nona. Sì, nel nuovo quartiere a cui portano strade fangose e senza illuminazione, in cui le case popolari (poche) sono state progettate da Portoghesi ma assegnate dopo quasi diciotto anni. È qui, in quest'area compresa tra la bretella che collega il Raccordo anulare con l'autostrada e via Prenestina, che ha soffiato più forte il vento anti-centrosinistra. Ecco il primo elemento che secondo l'autore ha spinto i romani a premiare Alemanno bocciando Rutelli: «Le discusse scelte del centrosinistra in materia di politica urbanistica», che hanno finito per deludere i cittadini e che non hanno nemmeno impedito il dietrofront dei poteri forti. Infatti Alemanno ha conquistato prima le periferie, debilitate dal degrado e dalla paura (l'autore ripercorre le violenze «esplose» sulla campagna elettorale), poi gli imprenditori (che non avevano più niente da chiedere al Pd). Infine, da sindaco, ha tessuto laboriosamente il rapporto con il Vaticano, già indispettito con il centrosinistra per il legame con i Radicali e l'intenzione di legiferare sulle coppie di fatto. Poi Alemanno è passato al governo della Capitale e qui non sono mancati i dolori. Ha cercato di «penetrare nel resto della città a partire dai principali centri di potere»: le società comunali. Ha cambiato i vertici delle municipalizzate e accanto a lui ha voluto due ex An: Andrea Augello e Fabio Rampelli. Alla fine ha capito che ci vuole un po' di tutto: «Un po' di lobbisti e un po' di costruttori, un po' di tassisti e un po' di imprenditori, un po' di fascisti e un po' di assessori» per amministrare Roma e guardare al futuro.
14/11/09

venerdì 13 novembre 2009

Papale papale, che cosa dovrebbe fare Rutelli


In fondo Francesco Rutelli avrebbe una grande chance. Un vero partito liberale che abbia la forza di comunicare e promuovere idee il più possibile liberali sarebbe più che opportuno dalle nostre parti. A loro modo ci provano ogni tanto i Radicali ma poi finisce che si intimidiscono e che non riescono quasi mai a imporre nel dibattito culturale italiano le loro idee in questo settore. Rutelli, tra le formidabili piroette politiche che ha fatto nel corso degli anni (lo sapete: verdi, radicali eccetera eccetera) ha sempre tentato di fare quello un po’ più liberale degli altri. E anche i suoi uomini e le sue donne che lo hanno accompagnato nelle sue avventure politiche (vedi Linda Lanzillotta soprattutto) delle buone idee di liberalizzazione le hanno avute, e questo va detto. E’ vero che un partito che nasce sponsorizzato da Calearo e da Guzzanti può suscitare alcune perplessità ma in realtà dietro la cosa rutelliana esiste un buon margine di manovra. Sembra un paradosso, perché le recenti crisi economiche sparpagliate qua e là in giro per il mondo sono state spesso accompagnate da parole come “fine del capitalismo” e cose simili. Ma in realtà quei mesi che avrebbero dovuto riportare in giro per il mondo una sorta di socialismo (chissà che significa oggi quest’espressione) in una versione aggiornata ai nostri tempi hanno in realtà prodotto un effetto diverso. Insomma, guardatevi in giro. In pochi mesi, le ultime due più importanti elezioni europee hanno prodotto risultati niente male per i liberali del continente. Alle europee del 2009 in Inghilterra, i liberali di Nick Clegg hanno ottenuto un risultato choc: il 13,7 per cento dei voti. Alle recenti elezioni tedesche i liberaldemocratici di Guido Westerwelle hanno preso persino di più: il 14,6 per cento. Cercare di trovare sponsor importanti per la propria iniziativa politica è naturalmente cosa buona e giusta. Rutelli, Tabacci e tutti gli altri hanno già creato una buona rete che mette insieme un po’ Carlo De Benedetti, un po’ Luca Cordero di Montezemolo e un po’ – almeno a quanto pare – anche quel mondo legato ai Benetton. Tutto questo è giusto. Ma una volta creata la sua rete Rutelli dovrebbe stare molto attento a cercare di farsi intervistare dai suoi giornali amici non tanto per discutere di temi appassionante come le alleanze per le regionali, ma piuttosto dovrebbe tentare di diventare portatore unico del pensiero liberale tentando magari di farsi dare qualche suggerimento da quello che in molti si augurano che diventi il suo vero punto di riferimento. Il suo personalissimo modello tedesco: Guido WesterWelle.

giovedì 12 novembre 2009

Ma insomma, che farà Fini da grande?

Io credo che Gianfranco Fini sia riuscito a creare attorno a sé un ottimo spazio in cui poter dimostrare a tutti che lui sì che è indipendente. E lo dico senza ironia. In molti sostengono che il candidato perfetto per la successione a Silvio Berlusconi sia lui: perché il più solido, il più autonomo, il più intelligente e il più ammanicato di tutti. Io, e l’ho scritto anche nel mio libro, credo che non sia affatto così (e dovendo fare una previsione su chi per esempio tra Alemanno e Fini abbia più chance a diventare leader del centrodestra che sarà vedo meglio il primo che il secondo). Se dovesse andare alle elezioni oggi Fini avrebbe lo stesso problema che hanno avuto negli anni le amministrazioni di centrosinistra a Roma e non solo lì. Grande attenzione – e che dio mi perdoni per l’espressione – per i poteri forti. Grande feeling con i più importanti esponenti dei partiti a lui avversi. Grande tentativo di disegnare su di sé il profilo da vero uomo di garanzia (i cronisti parlamentari lo chiamarebbero semplicemente riserva della repubblica). Insomma, si sa: Fini sa usare bene i mezzi di comunicazione, sa qual è il momento giusto per scrivere un libro, sa quando vanno fatte le interviste. Tutto vero. Il problema è che Fini ha lo stesso problema che hanno molti leader incompiuti del centrosinistra: non solo non ha un partito che si butterebbe sotto a un treno per lui ma soprattutto piace tantissimo a tutte le persone che non lo voteranno mai. Quindi magari un giorno farà il candidato alla presidenza della Repubblica ma quanto al resto, sinceramente, ho un po’ di difficoltà a vedere altro.

martedì 10 novembre 2009

La Presa di Roma sul Foglio/2

la marcia da Roma
Croppi, Storace e Lanna. Girotondo stracittadino sul modello Lupomanno (se esiste)

Alemanno, Fini e Berlusconi. Il governo della Capitale. Il rapporto con i poteri più o meno forti della città. Il destino del sindaco di Roma. Il tentativo di riscatto del centrosinistra capitolino. Il futuro della destra romana. Sono queste alcune tra le principali domande della “Presa di Roma” (Rizzoli, 9,80 euro), il libro inchiesta con cui Claudio Cerasa spiega chi comanda a Roma, che cosa succede quando la città cambia colore e quali sono le mosse con cui Alemanno sta cercando di rafforzare la propria leadership anche in competizione con gli attuali uomini forti del centrodestra. Il Foglio ha invitato a discutere su questi argomenti alcuni protagonisti della destra romana. E a parlare di questi temi, con Alessandro Giuli e Claudio Cerasa, sono intervenuti l’assessore alla Cultura di Roma Umberto Croppi, l’ex presidente della regione Lazio Francesco Storace, il direttore responsabile del Secolo d’Italia Luciano Lanna.


Foglio: E’ Croppi quello più vicino al bersaglio del libro di Cerasa: cominciamo da lui. Il libro è un contributo alla riflessione sul sindaco di Roma e sulle sue prospettive. Una buona unità di misura per ricominciare un dibattito sulla destra, sulla destra che amministra, su un amministratore che noi più volte abbiamo descritto come il possibile rivale di Fini quando si trattava di discutere di Alleanza nazionale e che abbiamo considerato, per quanto possibile, come un possibile protagonista di prima grandezza del post berlusconismo.

Croppi: Il bersaglio non è tanto Alemanno, se di bersaglio si può parlare, ma è Veltroni. La cosa che più emerge dal libro è il sistema di potere di Veltroni, Bettini e Letta (anche se il ruolo di questi ultimi due è un po’ enfatizzato). Se di modello Roma si può parlare, il modello sta in questo: una rete di mediazioni fatta tra costruttori e alti ambienti che a Roma contano e l’attribuzione di un ruolo a realtà che sono diventate luoghi della politica al di fuori delle istituzioni: i circoli per esempio, i salotti romani. Io potrei descrivere la costruzione di questo modello di potere che Alemanno, mettendo insieme lobby di vario tipo, è riuscito a far suo. Il sindaco – questo è il mio giudizio da coprotagonista della vicenda – quel meccanismo l’ha capito perfettamente, l’ha utilizzato per la campagna elettorale per scardinarlo e nel primo anno di guida della sua amministrazione ha in parte sfruttato quello scenario riuscendo a cambiarne radicalmente il profilo e riportando il primato della politica sull’intreccio di affari e buone relazioni.

Foglio: Croppi, lei qualche tempo fa ha usato queste parole: “Arriverei a dire che la destra si gioca il futuro più a Roma che con il governo nazionale. Anche perché, anagraficamente, la classe dirigente è avviata alla pensione”. Ecco. La domanda è questa: Alemanno è riuscito oppure no a far suo questo sistema di potere che si estendeva intorno a Veltroni facendosene uno tutto suo? E poi: il sindaco ha le carte giuste per essere un potenziale competitor del centrodestra oppure no?

Storace: E che te lo viene a di’ a te?

Croppi: Scherzi a parte: governare bene Roma per questi cinque anni, naturalmente, è propedeutico anche per altre ambizioni. Intanto bisogna governare bene la città poi il resto lo si vedrà alla fine del mandato. Sul modello del potere, invece, è chiaro che per amministrare una città così complessa bisogna tenere conto di tutti gli interessi legittimi che sono rappresentati anche dalle forze imprenditoriali. Lo sforzo che sta facendo Alemanno, e mi pare anche con qualche successo, è riportare al centro il governo della città, che deve essere il governo degli interessi, ma attenzione: non devono essere gli interessi a governare la città.

Foglio: Lanna ha scritto per primo sul Secolo una recensione su questo libro, che non si può definire antipatizzante ma in cui ha mosso una serie di rilievi. Oltre ad aver notato alcune imprecisioni, ha detto che forse altri libri hanno esercitato meglio la critica costruttiva e l’analisi nei confronti della destra. Ma nel caso di Roma e Alemanno questo è un libro che se ne occupa in modo organico. Perché hai usato questo atteggiamento di diffidenza nei confronti del libro.

Lanna: Insomma, vogliamo parlare della dottrina Alemanno? Il discorso secondo me è molto semplice. Tutto gira attorno a due fatti: la necessaria alternanza politica in una città e gli elettori di sinistra che diventano di destra. Mi spiego meglio. Quello che ho notato nel libro è uno schema ideologico di lettura di questa vicenda che stona con la realtà. Sono profondamente convinto che a Roma la maggioranza degli elettori siano diventati di destra e abbiamo portato la destra a vincere. Ma avendo conosciuto nei mesi decine di amici di sinistra, anche di estrema sinistra, che hanno votato Alemanno ancora oggi credo che Roma non sia diventata di destra, ma che sia piena zeppa di cittadini che non ragionano più con schemi ideologici, e che più semplicemente – stanchi di Veltroni e Rutelli – abbiano voluto provare la terza carta, scegliendo così Alemanno. Si tratta proprio di quello che una certa destra ha sempre classificato come “sfondamento a sinistra”. Ebbene, quell’interpretazione teorica è diventata reale con la conquista di Roma. Non è un caso che Alemanno abbia vinto proprio in quelle periferie che un tempo votavano Dc (o Pci) e che sia riuscito a scardinare quel sistema di potere che aveva trasformato i dirigenti di centrosinistra in semplici amministratori del centro storico capitolino.

Foglio: C’è una cosa che va precisata. Non è giusto dire, come invece sostiene Lanna, che con Alemanno vi sia stata una semplice alternanza nella città e che sostanzialmente il primo passante – quale che fosse stato – avrebbe raccolto le ceneri di Veltroni e trionfato su Rutelli. E’ diverso: se non ci fosse stato un Alemanno – un uomo che ha un profilo identificabile più di altri – forse sarebbe andata in un altro modo. A Roma ha vinto Alemanno in quanto Alemanno. Noi, poi, abbiamo definito il sindaco di Roma un “bismarckiano”, ovvero un politico che coltiva una forma di autoritarismo sociale aggiornato ai nostri tempi ma che contemporaneamente, come ha scritto Cerasa, sa porsi come amministratore unico dell’insicurezza del cittadino. In più, Lupomanno ha avuto la scaltrezza di contrarre una serie di debiti preventivi nei confronti di quelli che erano gli interlocutori di Veltroni, dai grillini ai circoli, dalla Cdo all’Opera romana pellegrinaggi. Per il resto si vedrà se riuscirà a dare un profilo a se stesso senza dover soltanto obbedire agli strattoni che riceverà.

Storace: Questa discussione è cominciata parlando di quello che succederà fra qualche anno. Bene, partiamo da lì. Io a Roma, nel Lazio, ho conosciuto il potere in questa città e la penso così. Anche a livello nazionale, la leadership di Veltroni è stata alimentata dal patrimonio che gli ha offerto Goffredo Bettini, e non è un caso che con la parabola di discesa di Bettini il Pd abbia perso le elezioni. Quando a Roma parliamo di poteri forti parliamo di una cosa semplice: colossi che pretendono di comandare, gruppi che esistono a prescindere dai colori politici della città, e con cui bisogna confrontarsi e senza i quali non si può andare avanti. Anche per questo, io credo, la vittoria di Alemanno è stata un miracolo e non può essere sottovalutata neppure oggi. Alemanno è stato bravissimo a scardinare quell’insidiosissimo sistema di potere che era ormai entrato nelle viscere della città ma ora, a un anno dalla sua elezione, deve stare attento al rischio delusione che può compromettere la percezione della sua leadership politica. E questo vale anche per un discorso di carattere nazionale. Se oggi qualcuno mi chiedesse qual è la cosa più positiva che ricordi del primo anno di Alemanno, risponderei: “Il Pincio”. Lì sì che si è visto il sindaco, perché si è vista la volontà politica. Detto ciò, ovviamente il Campidoglio è una macchina mostruosa e di Alemanno tutto si può dire tranne che non sia un lavoratore. Magari da qui alle prossime elezioni regionali però dovrebbe stare di più sulla città perché non arrivino elementi di distrazione. Soprattutto deve smetterla di avere paura di se stesso, deve smetterla di andare in avanti rifiutando quello che è stato ieri.

Foglio: Credete che esista oggi una concreta possibilità che il sindaco di Roma riesca a ritagliarsi una statura politica capace di contendere la leadership agli attuali uomini forti del centrodestra? Insomma, a Fini e a Berlusconi?

Storace: Alemanno ha un problema. Ha paura delle orme. Ha paura di quelle sue orme del passato a causa delle quali teme di perdere la corsa per il futuro. Io credo che nel 2013, quando scadranno contemporaneamente il suo mandato e quello di Berlusconi lui non farà il leader del centrodestra perché è scritto che il successore di Berlusconi sarà un uomo della sinistra. Alemanno deve lavorare ancora più a fondo. Deve ragionare su come creare attorno a sé una piazza che possa dargli soddisfazioni anche tra dieci anni. Ma in questo deve essere più berlusconiano che finiano. In questo deve giocare una partita chiara. Deve piacere ai suoi uomini e non si deve preoccupare di piacere troppo a chi alla fine non ti vota – come invece fa Fini. Berlusconi invece ha una strategia vincente che consiste nel tenere sempre in eccitazione costante la propria curva, perché la storia insegna che tentare di piacere troppo alla curva avversaria alla fine ti porta a non piacer più a nessuno: Mario Segni docet. Se vuole creare attorno a sé un po’ di vera leadership Alemanno deve capire che cosa vuol fare. Prendete i campi rom. Vi ricordate che casino durante le elezioni? Era uno degli elementi di battaglia della campagna elettorale ma non ho ancora capito chi se ne sta occupando, cosa è stato fatto, che cosa è cambiato. La verità, se proprio devo essere sincero, è che è svanito l’entusiasmo per la vittoria, che c’è una squadra attorno al sindaco che è troppo inesperta, che ci sono consiglieri comunali che dicono cose che non andrebbero neppure pensate e che c’è un sindaco che in sostanza avrebbe bisogno di riordinare lo staff per tentare di governare la città e che invece non lo fa.

Foglio: Ma Storace sarebbe disposto ad aprire il pugno e a offrire la mano al sindaco, magari entrando persino in giunta?

Storace: No. Questo no. Io sono impegnato nella costruzione di un progetto politico quindi voglio fare quello che sto facendo. Mi meraviglia che non faccio parte della maggioranza, ma la giunta non mi interessa proprio. Voglio solo tentare di fare una cosa: capire se c’è un luogo politico in cui le idee della destra possono essere messe a disposizione. Francamente, oggi con Alemanno mi pare complicato. Troppe distrazioni. Troppo poco interesse alla città.

Foglio: Le distrazioni possono essere rubricate nella sindrome del veltronismo inconscio che attanaglia chiunque si sieda sopra questo tesoro archeologico storico culturale che si chiama Roma. Il punto è che Alemanno rischia di costruire attorno a sé una figura un po’ rarefatta di organizzatore del proprio consenso esterno immaginifico, tralasciando dall’altra parte temi per i quali è stato votato: dalla sicurezza alla pulizia. Un grande leader politico come è il sindaco di Roma deve invece avere alcune ragioni sociali. Alcuni obiettivi. Alcuni traguardi su cui può essere costruita una vera vittoria o una vera sconfitta. Veltroni è stato mandato via da Roma perché ha tradito una certa ragione sociale della città. Alemanno, attualmente, non sembra che quella ragione ce l’abbia.

Croppi: Per questo tipo di ragionamenti dobbiamo affidarci ad elementi oggettivi. Noi abbiamo una percezione filtrata della politica dalle pagine dei giornali. Non bisogna dimenticarci però alcuni dati e alcuni numeri. Questi, ad esempio, ci sono appena arrivati in Campidoglio e parlano piuttosto chiaro. La popolarità di Alemanno è in forte crescita. E’ oltre il 60 per cento. E dopo quasi due anni di sindacatura non si tratta più di un semplice idillio, o un’apertura di fiducia. Questa è la percezione oggettiva che la città ha di Alemanno

Storace: Avessi detto la percezione senza “oggettiva” sarebbe stata una frase perfetta. Umberto, qui non c’è nemico. E i sondaggi senza nemico che senso hanno? Ricorda che a ottobre Marrazzo era al sessanta per cento. Fai attenzione: se non c’è un contendente qual è l’alternativa?

Croppi: Il fatto è che dopo due anni qui ci troviamo di fronte al riconoscimento da parte di una buona parte della società romana che Alemanno è persona affidabile e capace, e che sta tenendo fede agli impegni. In qualche modo – e questo vale anche per i campi rom – ci sono risultati che sono stati acquisiti e c’è un certo riconoscimento da parte della Capitale. E’ chiaro che con un trend così forte bisogna conquistare giorno per giorno fiducia. Alemanno è arrivato alla fiducia impreparato, ma in quasi due anni ha mantenuto agli occhi degli elettori le promesse, lo ha fatto con un grosso attivismo personale. E soprattutto senza distrazioni. Ha volutamente ridotto la sua presenza come leader politico nazionale. Di conseguenza l’opinione pubblica e la stampa lo conoscono solo per quello che fa: il sindaco di Roma. Ma è una scelta, è la sua strada obbligata, è il vero test per diventare leader nazionale perché è la via migliore per mette in pratica le capacità personali.

Foglio: Ma Croppi è sicuro che sia proprio questa la via migliore?

Croppi: Il consenso attorno a Veltroni è colato a picco dal momento in cui l’ex sindaco è entrato in un’ottica diversa rispetto a quella per cui era stato eletto. Il veltronismo ha smesso di essere efficace quando ha tradito i suoi elettori, quando ha iniziato a essere qualcosa di diverso dal sindaco della sua città, quando si è improvvisamente candidato alla segreteria del partito prima e alla presidenza del consiglio poi. Credo sia proprio per questo che due anni dopo aver pesantemente sconfitto Alemanno il centrosinistra di Rutelli e Veltroni è stato sconfitto dall’attuale sindaco.

Foglio: E’ però molto importante che un sindaco di una città come Roma espicliti qual è il suo profilo politico. Su temi come la sicurezza, certo, ma anche su temi come la bioetica e come l’immigrazione ci dovrebbe essere più chiarezza. La domanda è questa: esiste una dialettica tra i due tra i più importanti esponenti della vecchia Alleanza nazionale? Esiste o no una competizione politica tra Alemanno e Fini?

Croppi: Alemanno e Fini rivestono due ruoli istituzionali che al momento li mettono al riparo dallo scontro o dall’incontro politico diretto. Uno parla dalla presidenza della Camera dei deputati, l’altro esercita azioni politiche che sono rivolte alla città. Su alcuni punti però è chiaro che ci sono delle significative differenze. Un punto in particolare: sin dal suo primo giorno in Campidoglio Alemanno ha detto che si sarebbe impegnato sui diritti civili ma che dall’altra parte non si sarebbe mai speso per le coppie di fatto. Qualcun altro invece mi pare che abbia fatto ragionamenti un po’ diversi.

Storace: Vedete, ho la sensazione che Alemanno tema Fini. E’ come se sentisse sempre sopra di sé la sua ombra e non riuscisse a togliersela di dosso. Anche nelle scelte più semplici, in quelle più elementari. Sembra quasi un complesso.

Foglio: In che senso?

Storace: Sono d’accordo con Croppi quando dice che Alemanno deve fare bene il sindaco di Roma per cinque anni, altrimenti disperde il suo patrimonio politico. Non ho dubbi che la percezione della città sia che è un bravo sindaco. Soprattutto, perché nessuno gli attribuisce ancora delle responsabilità. L’assenza di una leadership, che non mi sembra un dato contestabile, potrebbe però diventare presto un problema. Io ho avuto problemi di numero legale in consiglio regionale dopo il terzo anno, non, come invece succede ad Alemanno in comune, dopo il primo mese. Sulla pratica di governo della città, poi, vedo un messaggio debole. Anche nella stessa tutela nella Capitale. Possibile che Alemanno non abbia contatti con alcun ministro che si preoccupi di contrastare un Tremonti che taglia i finanziamenti a Roma? Possibile che Alemanno non riesca a imporsi sulla scelta della presidenza della regione? Ve lo immaginate Veltroni che prende posizione su questo o quel candidato e che poi viene prevaricato da un altro? Sarebbe stato un delitto. Invece qui nel Lazio c’è un continuo valzer di nomine. C’è Alemanno che lancia Andrea Augello come suo candidato, poi c’è Fini che impone Renata Polverini, poi arrivano altri politici che mettono in mezzo i propri nomi. Ebbene, se alla fine non verrà candidato l’uomo voluto dal sindaco è come se lui stesso venisse sburgiadato. Alemanno deve capire che la presidenza della sua regione è cosa sua e che se si perde qui il primo sconfitto è proprio lui. E’ un bene che Alemanno faccia campagna elettorale per questo o quel candidato ma ci sono ingenuità clamorose che rischiano di bruciare le sue possibilità di leadership futura. Spiegatemi: chi diavolo è che gli dà questi consigli?

Croppi: Storace tende a semplificare. Non mettere sul tavolo delle posizioni significa candidarsi a non discutere. Vero è che al sindaco verrà attribuito un ruolo fondamentale nella campagna elettorale e nel risultato. Ma è giusto che non ci siano strappi nella sua strategia: affarmare la leadership significa riuscire anche a tenere insieme più idee e posizioni e nella dialettica interna vedrete che alla fine sarà proprio Alemanno quello che si sarà mosso meglio.

Foglio: Significa che Renata Polverini non sarà candidata?

Croppi: Significa che Alemanno sarà quello che alla fine si sarà mosso meglio.

Storace: Sinceramente non credo che sia un orgoglio quello di poter intestarsi l’ultima raffica di Salò. Conta quello che si fa, e al momento quello che si fa è ancora un po’ inferiore rispetto a quello che non si fa.

Foglio: Abbiamo detto che Alemanno deve essere un buon sindaco di Roma prima di ogni altra cosa, ma Alemanno è anche simbolo della Destra sociale, e Storace lo sa bene perché è stato a lungo gemello del sindaco. La dottrina della destra sociale è una caratteristica che ha contribuito alla presa di Roma. Ma adesso quel tipo di pensiero latita un po’. Oggi, più che Alemanno, è Fini che spesso emerge come uomo di rottura sia sui temi bioetici sia sul versante delle idee sociali (vedi la sua esortazione alla sintesi tra capitale e lavoro al congresso del Pdl). Il risultato è che Fini coltiva idee che sono persino più interessanti della sua stessa biografia. Dall’altra parte, invece, Alemanno appare un po’ ingabbiato nello stereotipo del leader cittadino ultrasensibile alle posizioni e agli interessi ecclesiali. Nella Presa di Roma c’è un esempio chiave, che è quello del trattamento privilegiato all’Opera romana pellegrinaggi. Non credete che ci sia il rischio di vedere impoverita la sua immagine pubblica?
Lanna: Questi sono discorsi che toccano un piano troppo astratto. Un piano diciamo pure un po’ troppo sovrastrutturale. Se iniziamo a pensare che esista davvero la destra bisamarckiana o la destra sociale si ragiona non per realtà oggettive, ma solo con schemi teorici che nella politica si utilizzano per rappresentare gli interessi di realtà valoriali. Parliamo di cose concrete. Credo che la partita politica di Alemanno sia dare un’amministrazione di Roma con un modello nuovo che lasci un segno. C’è una frase di Mehmet II, il conquistatore musulmano di Costantinopoli, che credo sia a questo proposito molto significativa. Alla domanda “Cosa è la politica”? Mehmet II rispose: “L’arte di costruire città e riempire di felicità il cuore della gente”, cioè costruire realtà spazi veri e dare un tessuto sociale e rispetto all’emergenza insicurezza, che non è legata solo alla cronaca nera. Chi investe in un amministratore vuole queste risposte. Sono queste le questioni sulle quali sono chiamati a dare una prova di discontinuità e di vero decisionismo. Le multe, le buche, la viabilità…

Foglio: Attenzione. E’ vero che volere una città ben amministrata è la prima esigenza del cittadino ma poi si vota anche seguendo altri criteri, per esempio cercando di capire in nome di che cosa si amministrerà la città. Ma è evidente che per essere qualcosa bisogna essere stati qualcosa e che se cancelli quel minimo di memoria condivisa prima o poi la paghi.

Storace: Amministrare la città in nome di qualcosa significa anche dare un po’ della città nelle mani dei cittadini. Voglio lanciare una proposta: una proposta di cui parlerò in modo più approfondito anche con il sindaco. Sarò breve. In questi giorni in Parlamento si è deciso che la presenza dei comuni non deve andare oltre il 30 per cento delle società municipalizzate. A Roma c’è Acea che è un caso significativo. Oggi il comune ha il 51 per cento di questa azienda che porta acqua e luce ai cittadini romani. Ecco la proposta: se devo ridurre al 30 per cento la presenza del Campidoglio nell’azienda perché non introdurre in Acea una forma sperimentale di partecipazione privata dei lavoratori? Una serie di privati che ci mettono un po’ di soldini e che fanno propria un’azienda simbolo della città? Perché il sindaco non ci pensa a fare una sorta di assessorato alle partecipazioni?

Croppi: Francesco, tu appartieni a un’élite che è attenta a questi segnali simbolici ma, come tra l’altro è ben descritto nel libro di Cerasa, sono i piccoli casi, i piccoli esempi che determinano la soddisfazione e l’insoddisfazione dei cittadini. Sono le strade promesse e poi realizzate che aiutano ad accrescere la credibilità di un sindaco. Non le parole. La tua proposta poi non mi convince. Ho ricominciato a rivedere i capisaldi della nostra infanzia nella destra sociale da quando stavo nell’Msi. La partecipazione non credo sia una buona soluzione. E’ una proposta suggestiva. Per essere concreti, l’apertura dell’Acea alla partecipazione azionaria di lavoratori potrebbe coprire una parte inferiore all’1 per cento e rischierebbe persino una scarsa adesione e qualche disastro. E’ molto suggestiva ma poco praticabile.

Storace: Umberto, ma come, non ricordi? Non ricordi che la Democrazia cristiana ci ha insegnato che quello che conta è quello che prometti, non quello che hai fatto. Suvvia, non ti sei mai accorto che in questo paese ha governato per 40 anni la Dc non per quello che realizzava ma per quello che prometteva?

venerdì 6 novembre 2009

La presa di Roma sul Magazine del Corriere della Sera

Magazine del Corriere della Sera (5 novembre 2009)

Vi spiego perché a Roma la destra durerà al potere

Claudio Cerasa, 27 anni, redattore capo de Il Foglio, è autore del libro La presa di Roma, edito da Bur-Rizzoli nella collana Futuropassato, dedicato alla novità rappresentata dalla giunta Alemanno

Come definirebbe la nuova classe politica di centrodestra di Roma?

“In grande evoluzione, effervescente, quindi in crescita, potenzialmente candidabile a un’alternativa di governo, può contare su un po’ di Chiesa, imprenditori, costruttori. Infatti è più vivace del centrodestra nazionale che ormai sembra al suo apice”

Un dato non positivo?

“Alemanno si è ritrovato a governare la coda del veltronismo. E così è stato un po’ Veltroni nel suo rapporto con la Roma Potentona, a tratti sembra che si lasci travolgere. Invee ha le carte in regola per emergere. Durerà? Credo di sì, tranquillamente, non ha opposizione”.

A proposito: e il centrosinistra romano?

“Vive una confusione bestiale, ciò accellera la ricerca di una giusta e rapida via d’uscita. Il centrodestra si è affidato a leader maturi. Invece il centrosinistra rischia di restare ancorato alle figurine Panini. La grammatica obamiana funziona se hai Obama a disposizione. Altrimenti non serve a niente”.

Paolo Conti
5/11/09

martedì 3 novembre 2009

La Presa di Roma su Repubblica

L NUOVO VOLTO DEL POTERE NELLA CAPITALE

Nella storia di Roma, politica ma non solo, il 28 aprile 2008, elezione del "nero" Gianni Alemanno al soglio capitolino, è stato e resterà un giorno decisivo per comprendere cosa sia cambiato nel Paese. Come. Perché. E con una scelta evidentemente voluta, che gioca con la ricorrenza dei calendari, nell´ottantasettesimo anniversario della marcia su Roma (28 ottobre 1922), è arrivato in libreria La presa di Roma (Rizzoli, pagg. 208, euro 9.80) l´ultimo lavoro di Claudio Cerasa, eccellente giornalista del Foglio, cronista vivace e solido. «Cosa si nasconde - si chiede Cerasa - dietro la straordinaria ascesa di Gianni Alemanno? Per quali ragioni una città decide di affidare la propria sorte a un uomo dal passato così movimentato? Perché la destra sa parlare di sicurezza meglio della sinistra? Quali affari miliardari si nascondono dietro al governo dei diversi sindaci di Roma?».
Con il passo dell´inchiesta e metodo da entomologo, a queste domande Cerasa dà delle risposte. E - ciò che più importa - con nomi e cognomi, date, numeri, circostanze. Restituendo un quadro del Potere che muove la città, i suoi nessi, i suoi snodi, utile non solo a chi la abita, ma anche ai molti e confusi osservatori che, non conoscendone né l´anima, né la geografia, né le profonde discontinuità sociali e culturali che l´hanno attraversata negli ultimi vent´anni, si ostinano a semplificarne il tratto, aggiornando periodicamente il rosario di luoghi comuni che si è guadagnata nei secoli.
La "Presa di Roma" ha il pregio di illuminare, chiamandolo con il suo nome, il tratto politico della vittoria di Alemanno e, più in generale, del centro-destra che si è fatto maggioranza nel Paese. Alemanno vince con la Plebe che preme alle porte del fortilizio patrizio ormai identificato come la vera costituency della Roma di Veltroni. Racconta dunque il capovolgimento dei canoni dell´appartenenza politica, proletaria e borghese. Con una vittoria che, non a caso, comincia e viene costruita in quella cintura periferica, Ponte di Nona, che le amministrazioni del centro-sinistra avevano immaginato come monumento moderno e urbanisticamente sostenibile in cui alloggiare proletariato, piccola e media borghesia, storicamente "rosse" e da tempo espulse dal cuore della città. Abbandonate al loro senso di insicurezza materiale e fisica (reale e "percepita"). Alla prossimità imposta con gli ultimi degli ultimi (Rom e nuova immigrazione rumena).
Dopo un quindicennio di governo del centro-sinistra, la destra ha la fame, la forza e la disperazione degli esclusi. E vince non per un nuovo progetto o idea di città, di cui nel libro non a caso non c´è traccia. Vince per consunzione naturale dell´avversario e soprattutto perché i veri padroni di Roma, i suoi poteri forti - costruttori, manager delle municipalizzate, circoli Vaticani, lobby dei tassisti - nella migliore tradizione trasformista e cinica della città si liberano di un cavallo sfiancato (il Pd di Veltroni e Rutelli) da cui hanno ottenuto tutto quello che potevano ottenere e salgono sul nuovo, disposto, pur di vincere, a qualunque patto.
Il mantra di Alemanno e della sua campagna - "Sbullonare Roma" - se suona musica alle orecchie della Plebe, diventa così l´anticamera del suo inganno. Perché nelle scelte del nuovo Sindaco, nella sua nuova geografia del Potere - come Cerasa documenta - in realtà, quella Plebe viene (ri)consegnata allo stesso blocco Patrizio di cui, a parole, il neo sindaco ha promesso di volersi sbarazzare. Insomma, di rivoluzionario, nella nuova Presa di Roma c´è solo il rumore e la forza delle parole, la straordinaria suggestione della Storia, la prima volta degli esclusi da sempre. C´è soprattutto un presagio. Che una volta finito di "sbullonare" con furia la città i suoi nuovi padroni politici ne vengano rapidamente digeriti.
Carlo Bonini
3/11/09

lunedì 2 novembre 2009

L'introduzione della Presa di Roma

Ecco qui l'introduzione del libro la Presa di Roma, scritto dal titolare del blog

Che cosa succede quando la Capitale di un Paese cambia colore politico dopo quindici anni? Chi sono gli uomini che oggi hanno in mano il vero controllo di Roma? Con le elezioni del 28 aprile 2008 vi è stata una storica inversione di rotta che ha sconvolto completamente la geografia del potere non solo romano ma anche italiano: il blocco di consenso legato al centrosinistra di Walter Veltroni si è sgretolato e il centrodestra di Gianni Alemanno ha conquistato Roma. Gli equilibri ormai logori della città sono crollati in un lampo: dalle periferie più disagiate, vecchie roccaforti rosse, alle lobby più intoccabili, si è assistito a una vera e propria rivoluzione. In quei mesi, e in quelli successivi, ci si è ritrovati di fronte sia a una realtà che si stava profondamente trasformando sia a indistruttibili poteri che a poco a poco prendevano nuove forme. La Roma di oggi è come un fiume dopo la tempesta: il letto del torrente svela chi ha resistito alla piena e chi no, e rivela chi l’onda l’ha patita e chi l’ha dominata. Dopo il subbuglio, le acque tornano trasparenti e le cose appaiono più nitide. Ecco, cosa si nasconde dietro la straordinaria ascesa di Gianni Alemanno? Per quali ragioni una città decide di affidare la propria sorte a un uomo dal passato così movimentato? Perché la destra sa parlare di sicurezza meglio della sinistra? Quali affari miliardari si nascondono dietro al governo dei diversi sindaci di Roma? Quali sono i poteri forti che Alemanno è riuscito a conquistare? Chi sono gli uomini che insieme al nuovo sindaco stanno preparando un piano per tentare nel 2013 di succedere all’attuale presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi? Questo libro nasce dall’esigenza di trovare una risposta a queste e a molte altre domande, dalla volontà di capire cosa sta succedendo in questo momento nel nostro Paese e dalla necessità di conoscere i volti di chi muove i destini della Capitale. Per fare questo, per tentare di spiegare la Roma di oggi, bisogna entrare nella città che non si vede, parlare con le persone che la tengono in pugno, bisogna andare nelle stanze dei palazzi di potere, ascoltare le esigenze dei tassinari più agguerriti, dei circoli sportivi più esclusivi, i desideri delle zone più marginali, dei curvaroli, dei postfascisti. Bisogna osservare la storia e le posizioni dei costruttori, delle banche, degli imprenditori, della Chiesa. E mettere insieme le tessere di un mosaico di voci – quelle dei vinti e quelle dei vincitori – per riuscire a vedere chi, da dietro le quinte, comanda davvero la Capitale d’Italia.
Roma, ottobre 2009

sabato 31 ottobre 2009

La Presa di Roma sul Foglio



Perché Alemanno dovrebbe trattare questo libro come uno specchio

Se Gianni Alemanno fosse scaltro e svelto come ce lo  ricordiamo, si berrebbe in un sorso solo “La presa  di Roma” e l’appenderebbe poi sulla parete dello studio da sindaco in Campidoglio. Come fosse uno strano  specchio parlante che gli restituisca lacerti della propria verità e lo ammonisca sull’epilogo del veltronismo romano. Il titolo è potente ma non deve far paura: non evoca la marcia su Roma  più di quanto induca a sperare che  la conquista dell’Urbe da parte  della destra alemanniana si risolva in qualcosa di diverso dal sacco  dei Lanzichenecchi (1527). Non c’è  alcuna sentenza precostituita. Dopotutto poteva andare peggio, invece Cerasa ha scritto questo suo libro con la testa e non con il cuore  rovente di un qualunque animoso ex consanguineo in  cerca di guai (altrimenti, per capirsi, si starebbe commentando qualcosa tipo “Le oche del Campidoglio”).  Tutt’altro. L’autore è uno sgobbone straniero al mondo  della destra, è uno che ha studiato dall’esterno e infatti, come già rilevato dal finiano Luciano Lanna sul Secolo d’Italia, si nota qui e là qualche veniale sbavatura  nella sua rappresentazione del clan alemanianno. Al  netto dei pregiudizi di parte, tuttavia, Cerasa è arrivato  re in un bacino conchiuso i rivoli della rivoluzione andata in scena quasi due anni fa nella Capitale (la destra  alla prova del comando), e sopra tutto ci è arrivato con  un’attenzione meticolosa e una curiosità perfino sovrabbondante. Bisogna dargliene atto. Come si deve riconoscere che il lavoro è molto documentato anche  quando può apparire molesto agli occhi del sindaco, ritratto come l’amministratore unico dell’insicurezza romana (sia quella percepita sia quella reale) grazie alla  quale è riuscito a sbaragliare la concorrenza del pallido Francesco Rutelli. Notevole poi è il racconto delle  liaison tra Alemanno e il mondo guelfo che aveva voltato le spalle a Veltroni per via delle sue scappatelle  con la lotta di genere (matrimoni omosessuali e relativi registri comunali), un rapporto durevole e antico.  Sbaglia, al riguardo, il finiano Lanna quando rivendica  polemicamente il percorso di avvicinamento tra missini e ciellini già avviato negli anniOttanta nelle università romane. Sbaglia, Lanna, perché la filogenesi di  questa complicità teorica e pratica che ha portato Alemanno a farsi araldo e operaio della dottrina giudeocristiana nel libro di Cerasa è descritta con precisione.Basta leggere bene, senza diffidarne da lontano.  Eppure la destra diffida e diffiderà di questo saggio  che risulta più svantaggioso per uomini di potere come  Caltagirone o per altri suoi colleghi palazzinari, per  non dire di come esce malconcio lo stesso sistema arnifica mitopoiesi culturale da centro storico. Ma noi conosciamo per esperienza diretta il grado di sospettosità  dei dirigenti post fascisti. E’ un moto dell’anima spesso  comprensibile, poiché maturato in lunghi anni di discriminazione subìta senza poter opporre la propria  versione, senza poter spiegare l’ingiustizia della propria minorità. Ma oggi tutto questo non è più. Alemanno e i suoi virgulti ormai cresciuti sono un fenomeno  egemonico, non soltanto dal punto di vista elettorale.  Non devono prendersela a male se qualcuno ricorda loro che stanno amministrando Roma anche grazie alla  falange dei tassisti; in virtù della non belligeranza con  la lobby del mattone o dei circoli di canottaggio; forti di  un personale interno un po’ preso in prestito dalle riserve democristiane, un po’ residuato dai rivoli delle  catacombe.  Giacché né ad Alemanno né ai suoi intimi (come  Rampelli, Augello e Croppi) fanno difetto gli strumenti per scendere a patti con certi dati di realtà o la solidità culturale per rendere ragione delle proprie astuzie quotidiane. Cerasa – lo si capisce benissimo studiando il suo libro, ma si può equivocare se lo si scorre  a strattoni immusoniti – non ha costruito un lavoro a tesi. Certo non è un simpatizzante alemanniano, ma tradisce semmai un’inquieta fascinazione nei confronti  del branco dei Lupomanni che ha preso Roma dopo  averla accerchiata e sedotta.

Alessandro Giuli

Il Foglio, 31 ottobre 2009

 

La Presa di Roma sul Secolo d'Italia




La vittoria di Alemanno nel 2008? Una ricostruzione giornalistica riduce tutto alla "presa di Roma"

Alemanno in Campidoglio

Luciano Lanna
«Cosa succede quando la Capitale di un paese cambia colore politico dopo quindici anni? Chi sono gli uomini che oggi hanno in mano il vero controllo di Roma? Con le elezioni del 28 aprile 2008 vi è stata una storica inversione di rotta che ha sconvolto completamente la geografia del potere non solo romano ma anche italiano: il blocco di consenso legato al centrosinistra di Walter Veltroni si è sgretolato e il centrodestra di Gianni Alemanno ha conquistato Roma. Gli equilibri ormai logori della città sono crollati in un lampo: dalle periferie più disagiate, vecchie roccaforti rosse, alle lobby più intoccabili, si è assistito a una vera e propria rivoluzione. In quei mesi, e in quelli successivi, ci si è ritrovati di fronte a una realtà che si stava profondamente trasformando...».
Questa lunga citazione è l'avvio dell'introduzione di La presa di Roma (Rizzoli, pp. 220, € 9,80), primo saggio giornalistico dedicato alla "svolta" politica determonatasi nella primavera 2008 in Campidoglio e scritto da Claudio Cerasa, giovane cronista nato a Palermo e che da quattro anni è in forza alla redazione del Foglio. Un libro denso di informazioni, di riprese dalla stampa, di collegamenti ma che, purtroppo, risente un po' troppo di interpretazioni e schemi di lettura desunti da quella che potremmo ormai definire "la versione del Foglio". A fronte di un evidente sforzo teso a far emergere i cosiddetti nuovi detentori del potere romano e a delineare un presunto ritratto della nuova destra capitolina, si registra un eccesso di schematismo e la volontà di far rientrare tutto all'interno di un quadro unitario. Cerasa sostiene che per tentare di spiegare quanto è successo a Roma «bisogna entrare nella città che non si vede, parlare con le persone che la tengono in pugno, bisogna andare nelle stanze dei palazzi di potere, ascoltare le esigenze dei tassinari più agguerriti, dei circoli sportivi più esclusivi, i desideri delle zone più marginali, dei curvaroli, dei postfascisti. Bisogna osservare la storia e le posizioni dei costruttori, delle banche, degli imprenditori, della Chiesa. E mettere insieme le tessere di un mosaico di voci». Ma l'impressione è quella di un eccesso di velocità nella ricerca e qualche superficialità nella ricostruzione sotto l'urgenza di far rientrare i dati nell'interpretazione predefinita. Che sarebbe, in sostanza, quella di un presunto piano del sindaco Alemanno «per tentare nel 2013 di succedere all'attuale presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi».
Da qui qualche citazione forse non verificata e anche inesatezze marginali ma che, nel complesso, appaiono come sintomi di un metodo che avrebbe richiesto maggiore rigore. Così, ad esempio, l'assessore alla Cultura Umberto Croppi, che aveva 52 anni nel 2008, diventa sessantenne, Così, senza verifica, si sostiene che l'assessore all'Urbanistica Marco Corsini sarebbe stato imposto da Gianni Letta. Così, ma gli esempi potrebbero continuare, si stabilisce un collegamento diretto tra l'esperienza dei Campi Hobbit - ma come avrebbe potuto uno dei promori di allora definirli «ritiri spiritual-muscolari»? - degli anni Settanta-Ottanta e il movimentismo di CasaPound che in realtà non solo non è corretta ma falsa la ricostruzione storica dei percorsi della destra giovanile degli ultimi decenni. Sullo stesso piano non corrisponde a come sono storicamente andate le cose la ricostruzione che si dà del rapporto tra una certa destra postfascista e Comunione e liberazione, vicenda che in realtà nasce nei primi anni Ottanta nei due atenei romani. Come si fa, poi, a presentare Fabio Rampelli come colui che a suo tempo avrebbe suggerito ad Alemanno di concentrarsi «sulla nuova generazione di fasci moderati». E a delineare Andrea Augello come l'espressione di una destra «considerata un po' pariola, un po' chic»?
Non mancano certo passaggi in cui ci si avvicina alla chiave del successo alemanniano: lo sfondamento nei settori ideologicamente schierati in precedenza a sinistra e territorialmente presenti nelle aree periferiche. «È nelle periferie - si legge in una citazione di Croppi - che ha cominciato a diffondersi una certa cultura che man mano è diventata dominante, che non ha più avuto bisogno di nascondersi in luoghi protetti e che ha finalmente preso il posto di quella portata avanti da quelle persone che fino a oggi avevano tentato di imporre a tutti i costi l'agenda culturale alla città». Ma su questo sono molto più utili le pagine del libro Populismo globale di Guido Caldiron - nel capitolo intitolato "Una destra normale" - o quelle di Ricominciamo dalle periferie (curato da Massimo Ilardi e Enzo Scandurra) in cui "da sinistra" ci si è interrogati sull'intera vicenda senza pregiudiziali. Qui, come abbiamo invece detto, sulla fenomenologia tende a prevalere la tesi. Che sarebbe quella riassunta nella frase finale dell'intero libro: «Alemanno ha fatto una scelta precisa e ha capito che ci vuole un po' di tutto, un po' di lobbisti e un po' di costruttori, un po' di tassisti e un po' di imprenditori, un po' di fascisti e un po' di assessori, per tentare di fare il colpaccio e per potersi un giorno presentare sulla vetta politica più importante d'Italia e bisbigliare la stessa parola sussurrata quella sera del 2008. Presa».


29/10/2009

Qui.

La Presa di Roma sull'Ansa




LIBRI:ESCE 'LA PRESA DI ROMA',RITRATTO NUOVA DESTRA CAPITALE  (ANSA) - ROMA, 29 OTT - La cronaca di una rivoluzione. E, per dirla con le parole dello stesso scrittore la cronaca della rivoluzione e dei segreti di una città, Roma, dagli anni di Rutelli e Veltroni ad oggi. Oggi che ad amministrare la capitale è arrivato Gianni Alemanno. E' un affresco a tutto tondo, ma anche a tinte forti, quello descritto da Claudio Cerasa, giornalista, autore di "La presa di Roma", edito da Bur-Rizzoli nella collana Futuro Passato. Ed è una raffigurazione che affonda le radici in alcune domande per descrivere la nuova destra romana, guidata da un sindaco che ha conquistato categorie sociali, ed interi quartieri, da sempre appannaggio della sinistra. Quali sono i veri padroni e quali sono i volti sconosciuti che nel silenzio governano la città? Si chiede Claudio Cerasa nelle 208 pagine de 'La presa di Roma'. C'è qualcosa di più profondo, e qualcosa di più misterioso, di una semplice svolta politica nel modo in cui la nostra Capitale ha improvvisamente cambiato parte. In poco più di una un anno Roma si ritrova comandata da una nuova e fortissima rete di potere, racconta lo scrittore. Una rete fatta da costruttori, palazzinari, avvocati, architetti, immobiliaristi e presidenti dei circoli sportivi. E che mette insieme Vaticano, centri sociali, editori, giornalisti, tassisti, lobbisti, ebrei, fascisti e persino comunisti. Insomma, nello spiegare la Roma di oggi, Cerasa ci consegna la sua verità: "Alemanno ha imparato a goveranare le stanze più segrete della capitale e si prepara ad essere il prossimo vero candidato di centrodestra alla guida del paese". (ANSA).

La Presa di Roma su Palazzo Apostolico di Paolo Rodari







Cerasa in Vaticano

Dalla “Presa di Roma” di Claudio Cerasa (Bur, 218 pagine,9,80 euro) - un volume dedicato al cambiamento che Roma ha subìto dopo la vittoria di Gianni Alemanno alle amministrative dell’aprile 2008 - leggo il capitolo “Il Sindaco pellegrino”. Ovvero i rapporti inevitabilmente intrecciati tra lui, Alemanno, e la Santa Sede (in varie manifestazioni rappresentata). E scopro che, se un successore di Berlusconi mai ci sarà - è ovvio che ci sarà, il punto è indovinare quando - questo più che Fini potrebbe essere Alemanno. E il Vaticano c’entra. Nel senso che l’elettorato tendenzialmente cattolico - e quindi gran parte dell’elettorato moderato del centro destra: qui cattolico s’intende vicino idealmente ai princìpi della fede ma non necessariamente praticante - potrebbe scegliere lui nel caso si candidasse. Il Papa in qualche modo l’ha già benedetto: Ratzinger ha incontrato Alemanno otto (otto!) volte. L’ultima volta i due si sono visti al Campidoglio. Notare: “La presenza di un Pontefice al Comune è un evento oltre che storico anche piuttosto raro. Prima era successo appena tre volte”, scrive Cerasa. Il Papa ha mostrato un certa confidenza nei confronti di Alemanno quando, nel giugno 2008, gli ha detto queste parole (a rileggerle fanno impressione): “Roma comincia a essere consapevole dei suoi mali, e questa consapevolezza può aprire una nuova stagione, creare uno sforzo comune per ridare un volto bello e fraterno alla citta”. E poi tante altre cose. Fino alle varie modalità con le quali Alemanno ha ricambiato la super-cortesia vaticana: con lui sindaco di Roma, il 20 settembre (la giornata che ricorda l’annessione di Roma al Regno d’Italia, 1870), è diventata memoria degli zuavi pontifici morti per difendere il regno del Papa. Proprio di loro, degli zuavi pontifici. Il testo di Cerasa merita anche per un motivo stilistico: si raccontano gli intrallazzi - non c’è niente di male che vi siano intrallazzi, almeno secondo me - tra Comune e parti della Santa Sede, ma non si scade mai nel volgare, ovvero, nell’ideologia anti-papista.

Un po' del libro lo trovare QUI. Tutto il libro, invece, in libreria.

Paolo Rodari, 29 ottobre 2009

lunedì 30 marzo 2009

Giornali

Sinceramente De Bortoli e Riotta al Corriere e al Sole mi sembrano due notizie niente male, ma ora prego lorsignori del Corriere di provare a evitare per un po' di tempo di offrirci lezioncine giornalistiche sulle necessità di certi cambio generazionale alla guida dei partiti. Tutti meno che loro, denk iu.

Lo stesso discorso

Quando i dirigenti del Partito democratico dicono, anche a ragione, che quello di Berlusconi è lo stesso discorso fatto quindici anni fa dovrebbero capire che la drammaticità della situazione del centrosinistra è proprio dovuta al fatto che contro un signore che sta in politica – da vincente – da quindici anni ci sono ancora persone che in politica, ed alti livelli, ci stanno non da quindici ma da almeno vent'anni e che le stesse persone fanno gli stessi discorsi – da perdenti, ahimé – non da quindici, ma bensì da almeno trent'anni.

venerdì 27 marzo 2009

L'evidentissima deriva a sinistra

Un geniale deputato del Partito democratico ha appena lasciato il suo partito acccusandolo di essere diventato, con l'arrivo di Dario Franceschini (ex Dc, ex Ppi, ex Margherita) un po' troppo di sinistra.

mercoledì 18 marzo 2009

Il Foglio. "Il Cattovelocista"

E’ rimasto scottato con Marini, ha un buon rapporto con Bagnasco, ha uno staff ristretto di fedelissimi e alla sera racconta barzellette così così

Profumo di sola

UNICREDIT: PROFUMO, FINORA TUTTO BENE MA 2009 SARA' DURO Milano, 18 mar. - (Adnkronos) - "Finora tutto bene, ma il 2009 sara' un anno duro". Lo afferma l'amministratore delegato di Unicredit Alessandro Profumo, nelle slides della presentazione che iniziera' tra una ventina di minuti a Londra. (Tog/Pn/Adnkronos) 18-MAR-09 10:11 NNNN

(Per la cronaca: da inizio anno le azioni di Unicredit hanno perso il 58 per cento)

martedì 17 marzo 2009

Cose da sapere quando leggete il Corriere della sera

Mediobanca è il primo azionista di Rcs MediaGroup, con una quota del 13,69%, seguita da Fiat (10,291%), Italmobiliare (7,4%) e la Dorint di Diego Della Valle (5,4%). Tra i grandi soci della holding editoriale, compaiono Fondiaria-Sai (5,2%), Pirelli (5,2%) e Intesa Sanpaolo (4,9%

giovedì 5 marzo 2009

Si cambia

Dalla prossima settimana questo blog si trasferirà in modo più o meno definitivo sul sito del Foglio. Si chiamerà sempre Cerazade, avrà questa intensissima immagine qui a fianco, racconterà più o meno le stesse cose ma avrà qualche novità in più. Baci a tutti.

lunedì 23 febbraio 2009

Il bello della crisi

"Prosegue la frenata dell'inflazione. A gennaio l'indice dei prezzi al consumo è cresciuto dell'1,6% rispetto allo stesso mese del 2008, dopo aver segnato un +2,2% a dicembre. Si torna così ai livelli di agosto 2007. Lo annuncia l'Istat confermando il dato provvisorio diffuso all'inizio di febbraio. Su base mensile, invece l'indice è sceso dello 0,1%."

giovedì 12 febbraio 2009

Maledetti gufi

A tutti quei gufi maledetti che confondono la crisi dei giornali con la crisi dei giornali fatti di merda, la dimostrazione del fatto che i giornali se fatti bene vendono, sono appetibili e fanno un sacco gola agli imprenditori di mezzo mondo (vedi Bolloré in Francia, vedi Murdoch in America) è tutta qui. E' nei dati che nei prossimi giorni leggerete sui giornali sull'Economist. Che sono questi. Su base mondiale le copie dell'Economist sono aumentate nell'ultimo anno del 6,4%. Negli ultimi dieci anni, in tutto, del 99 per cento. Tiè.

Povero dabliù, manco na lettera

Ecco perché la lettera di Obama a Veltroni di una settimana fa e le polemiche conseguenti hanno solo infastidito il Cavaliere. «Obama - spiega il portavoce di Palazzo Chigi, Paolo Bonaiuti - ha solo risposto ad una lettera che il presidente del Pd gli aveva inviato in occasione della cerimonia di insediamento. E la risposta è un testo unico che la Casa Bianca invia per prassi a tutti quelli che hanno scritto al Presidente. Nessuno escluso».

martedì 10 febbraio 2009

Eluana

Confesso che ho le idee molto confuse su quello che è successo con Eluana, perché credo sia uno di quei casi in cui solo chi si trova in quella determinata situazione è in grado di capire qual è la cosa giusta da fare. Di questo ne sono certo. Così come sono certo che al centro della discussione che ha accompagnato gli ultimi giorni di vita di Eluana tutto sia concentrato su quelle quattro lettere che ho appena utilizzato. Vita, appunto. Sinceramente, credo che in questo caso, così come pochi altri casi, Berlusconi abbia fatto quello che si sentiva di fare, senza andare a sbirciare i sondaggi e senza stare a pensare se quello che diceva gli sarebbe convenuto o no. Semplicemente era quello che pensava ed era quello che credeva fosse giusto fare. La critica meno brillante che può essere fatta sul caso di Eluana è però quella che riguarda l'aver trasformato una sofferenza privata in un fenomeno mediatico. In una questione pubblica. E' una critica un po' superficiale questa, perché il caso di Eluana è stato un caso che è diventato pubblico per volontà della famiglia, e non certo per volontà dei media, del governo o del presidente della Repubblica. Era diventata un fatto pubblico, Eluana, e il suo papà aveva deciso deliberatamente di trasformare la sua battaglia in una battaglia non privata, che avesse infine una legittimazione da parte dello stato. Oltre a questo, ci sono un paio di altre cose che mi vengono in mente. La prima è che bisogna fare attenzione quando si gioca con le parole. Eluana era morta oppure no? Forse la domanda è sbagliata, forse chi considerava Eluana morta ancor prima che lo fosse davvero riteneva che il suo stato di salute non fosse degno di essere definito tale. Ma allora bisogna che chi ha questa convinzione parli chiaro e lo dica: quella roba lì non è vita, punto. Dire che Eluana era morta, quando poi alle 20.10 di ieri sera ti accorgi che non era morta affatto (grottescamente, gli stessi giornali che avevano difficoltà a mettere insieme la parola vita e la parola Eluana alle nove di sera titolavano tutti “Eluana è morta”) significa imbrogliare, e non ammettere qual è la radice del problema. Che è questa, secondo me. Eluana è stata uccisa, non è stata lasciata morire. E’ un caso completamente diverso da quello di Welby, questo, perché Welby è stato lasciato morire, perché in quel caso la terapia era senza dubbio una terapia, e le cure interrotte sono state un modo per lasciarlo andare, diciamo, “naturalmente”. Con Eluana invece no, l’alimentazione e l’idratazione ho difficoltà a considerarle come cure, e la mancata somministrazione di acqua e di cibo ho ancora più difficoltà a non definirle come far morire qualcuno piuttosto che lasciarlo andare. Quello che andrebbe discusso, e quello che dovrebbe offrire una risposta da tutta la storia che ha inconsapevolmente coinvolto Eluana, è diverso. E’ una risposta a una domanda semplice. E’ giusto oppure no che ci sia una persona che decida di far morire un’altra persona perché sostiene che quella sia la sua volontà senza poterlo dimostrare? Secondo me non è giusto. Secondo me è giusto che ci sia ora una legge fatta con i contro cazzi sul testamento biologico ed è giusto che, senza nascondersi dietro le parole, chi è favorevole all’eutanasia dica che in alcuni casi è giusto uccidere qualcuno per non farlo soffrire. Per questo, alla fine, credo sia assurdo non riconoscere che quella su Eluana sia una battaglia tra chi vuole la vita a tutti i costi e chi invece quella vita a determinate condizioni è disposto a sacrificarla. Le altre cose, sinceramente - cose per esempio come quelle che dicono i dirigenti del partito che io stesso ho votato e cose che dicono parecchi dirigenti dei partiti che grazie al cielo non ho votato - mi sembrano solo chiacchiere, chiacchiere, chiacchiere.

sabato 31 gennaio 2009

Intercettati

Si può pensare quello che si vuole delle intercettazioni telefoniche. Che siano troppe, che siano usate male, che rendano meno solide le indagini. Eccetera. La mia idea, che è un'idea che mi porta persino a giustificare quelle persone che considerano le torture come mezzi purtroppo necessari per ottenere un risultato, è che più intelligence è sempre più intelligence, e che se le intercettazioni danno la possibilità di risolvere con più rapidità alcuni casi ben vengano. Punto. Per questo mi sembra una grandissima cazzata quella di rendere possibile l'uso delle telefonate registrate solo in presenza di "gravi indizi". Non bisogna confondere i due lati della faccenda: il problema delle intercettazioni telefoniche non è un problema che riguarda l'uso delle sbobinature nel corso delle indagini. Tutto quello che serve, di legale, per incastrare un farabutto per me va più che bene. Il problema è che chi ha in mano strumenti che, se gestiti male, possono mettere la tua privacy ad alto rischio quegli strumenti deve dare l'impressione non solo di saperli usare ma anche di saperli custodire. Scordatevi che quelle fughe di notizie che si trasformano in intercettazioni pubblicate sui giornali siano frutto del lavoro del bravo giornalista. Non è così, perché quando i brogliacci finiscono sui quotidiani, prima ancora che le indagini preliminari siano concluse, c'è sempre una manina che non è per niente disinteressata a veder processati i suoi indagati prima ancora che questi finiscano in un'aula di tribunale. Dunque, tutto giusto: è giusto non abusare con le intercettazioni perché intercettare (e questo lo dicono anche gli inquirenti) spesso impigrisce altre forme di indagine; sarebbe secondo me civile non pubblicare alcun verbale prima che un giudice non conceda un rinvio a giudizio; ma non è possibile e non è accettabile questa mezza pagliacciata del consentire l'uso di uno strumento spesso terribilmente efficace come le intercettazioni solo quando in realtà queste potenzialmente non servono più.

giovedì 29 gennaio 2009

Quel manigoldo del Cav.

Leggendo questa mattina l'articolo con cui per difendere Giorgio Napolitano Massimo Giannini fa a pezzi Tonino Di Pietro, c'è un passaggio incredibile in cui lo stesso Giannini dà una spallata a tutte quelle persone che considerano più o meno criminale una delle leggi più, diciamo, discusse degli ultimi mesi: il Lodo Alfano. Si può essere contrari o favorevoli, incazzati o innamorati del Lodo così come di tutte le leggi fatte dal Cav., ma come si capisce bene dalle parole di Giannini nella maggior parte dei casi questi restano tutti giudizi personali, perché se ci fosse qualcosa di illegale, qualcosa di criminogeno, qualcosa che minacciasse davvero la salute della Repubblica, o persino della democrazia, il Lodo non sarebbe mai stato firmato dal presidente della Repubblica. Scrive Giannini: "Come già accadde con il Lodo Schifani ai temmpi di Ciampi, anche il Lodo Alfano non appare manifestamente incostituzionale".

giovedì 22 gennaio 2009

Yes.

Segnatevi questa. “Il governo non vuole guidare le società, storicamente non l’ha fatto mai molto bene”, disse Obama.

giovedì 15 gennaio 2009

L'ultima, e interessante, polemica del Partito democratico

RAI: VITA (PD), VELTRONI HA RAGIONE, CERTI QUIZ OSCENI (AGI) - Roma, 15 gen - "Certi quiz televisivi sono scandalosi e forme di oscenita'. Ha completamente ragione Veltroni ad attaccare le trasmissioni come i quiz che distribuiscono soldi in quantita' e senza criterio in un periodo cosi' amaro per la vita di tanti. Sono proliferate trasmissioni di quel tipo su troppe reti televisive rendendo alcuni orari della giornata una striscia indistinta. Non e' questa la televisione cui la stessa Rai ci aveva abituato in altre stagioni, in cui pure i quiz apparivano diversi. Non si deve guardare al passato ma al futuro per salvare il servizio pubblico. E' utile ricordare al direttore di Raiuno Del Noce e alla consigliera Bianchi Clerici che nei paesi nei quali quelle trasmissioni furono 'inventate' sono in diversi casi state superate". Lo dichiara Vincenzo Vita, senatore del Pd e vice presidente della commissione di Vigilanza Rai.(AGI) Red/Mal 151949 GEN 09 NNNN

martedì 13 gennaio 2009

Il Foglio. "Rignano's Way"

Indagini, proscioglimenti, rinvii a giudizio, castelli e caccia alle streghe. Il passo lento della gogna mediatica spiegato a 38 km da Roma

Quattro rinvii a giudizio per Rignano

CASO RIGNANO: PROCURA NOTIFICA CONCLUSIONE INCHIESTA, VERSO 4 RICHIESTE GIUDIZIO E 3 ARCHIVIAZIONI Roma, 13 gen. (Adnkronos) - La procura della Repubblica di Tivoli (Roma) ha notificato la conclusione dell'inchiesta sui presunti abusi ai danni dei bimbi dell'asilo 'Olga Rovere' di Rignano Flaminio. Per quattro degli indagati, la maestre Patrizia del Meglio, Marisa Pucci e Silvana Candida Magalotti, nonche' per il marito della Del Meglio Gianfranco Scancarello, si profila la richiesta di rinvio a giudizio. Dovrebbero invece uscire dall'inchiesta, con la richiesta di archiviazione, la bidella Cristina Lunerti, il benzinaio Kelum Weramuni De Silva e la maestra Assunta Pisani. I reati ipotiozzati per tutti sono atti osceni, maltrattamenti, sottrazione di persone incapaci, sequestro di persona, violenza sessuale aggravata, corruzione, violenza sessuale di gruppo e turpiloquio. (Saz/Gs/Adnkronos) 13-GEN-09 12:21 NNNN

About Soru

http://video.ilfoglio.it/ilfogliocatodico/preview/92

giovedì 8 gennaio 2009

Il Pd secondo l'Economist

Sul veltronianissimo Economist di domani, con un'originalissima tesi, si dice che il cancro del Partito democratico sarebbero gli ex dc.

Zagrebelsky

Anche oggi intervistato da Repubblica, Gustavo Zagrebelsky dice che in Italia la democrazia è "a rischio". Così a rischio che il dottor Zagrebelsky può ripeterlo ogni giorno e a ogni ora con le stesse parole e agli stessi giornali.

martedì 6 gennaio 2009

Tié

http://www.camilloblog.it/archivio/2009/01/06/il-foglio/

Scusate, proprio nungniafaccio

Io però a leggere ogni mattina il Giornale che fa le pulci sulla "questione morale" del Pd proprio non ce la faccio.

venerdì 2 gennaio 2009

La "questione morale"

Mi aspetterei che dopo il noto discorso di Veltroni sui "capibastone" del Partito democratico, evidentemente e genericamente rivolti anche ai casi di Pescara e di Matera, ecco, mi aspetterei che un partito "riformista" e bla bla bla oggi, oltre che parlare gridare urlare contro gli errori dei magistrati che sbattano in galera persone accusate di malafarri non dimostarti, facessero qualcosa di più. Non dire "è inaccettabile che si sbagli", etc etc, ma dire proprio che chi sbaglia si punisce e che, anche a costo di cambiare le leggi, si dovrà far di tutto per evitare che si possa finire in cella senza che ci siano un paio di vere prove schiaccianti.

Nonna moderna/14 - Christmas edition/2

Commentando un "presente" recentemente recapitato nella dimora in cui alloggia, lei, storicamente nota per il suo difficile rapporto con i doni natalizi, ha commentato così, in modo secco e schietto, la personalità di un'anziana signora da cui ha ricevuto un regalo. "Bagascia. Nel senso", si è poi corretta, "di donna di strada".