sabato 31 ottobre 2009

La Presa di Roma sul Foglio



Perché Alemanno dovrebbe trattare questo libro come uno specchio

Se Gianni Alemanno fosse scaltro e svelto come ce lo  ricordiamo, si berrebbe in un sorso solo “La presa  di Roma” e l’appenderebbe poi sulla parete dello studio da sindaco in Campidoglio. Come fosse uno strano  specchio parlante che gli restituisca lacerti della propria verità e lo ammonisca sull’epilogo del veltronismo romano. Il titolo è potente ma non deve far paura: non evoca la marcia su Roma  più di quanto induca a sperare che  la conquista dell’Urbe da parte  della destra alemanniana si risolva in qualcosa di diverso dal sacco  dei Lanzichenecchi (1527). Non c’è  alcuna sentenza precostituita. Dopotutto poteva andare peggio, invece Cerasa ha scritto questo suo libro con la testa e non con il cuore  rovente di un qualunque animoso ex consanguineo in  cerca di guai (altrimenti, per capirsi, si starebbe commentando qualcosa tipo “Le oche del Campidoglio”).  Tutt’altro. L’autore è uno sgobbone straniero al mondo  della destra, è uno che ha studiato dall’esterno e infatti, come già rilevato dal finiano Luciano Lanna sul Secolo d’Italia, si nota qui e là qualche veniale sbavatura  nella sua rappresentazione del clan alemanianno. Al  netto dei pregiudizi di parte, tuttavia, Cerasa è arrivato  re in un bacino conchiuso i rivoli della rivoluzione andata in scena quasi due anni fa nella Capitale (la destra  alla prova del comando), e sopra tutto ci è arrivato con  un’attenzione meticolosa e una curiosità perfino sovrabbondante. Bisogna dargliene atto. Come si deve riconoscere che il lavoro è molto documentato anche  quando può apparire molesto agli occhi del sindaco, ritratto come l’amministratore unico dell’insicurezza romana (sia quella percepita sia quella reale) grazie alla  quale è riuscito a sbaragliare la concorrenza del pallido Francesco Rutelli. Notevole poi è il racconto delle  liaison tra Alemanno e il mondo guelfo che aveva voltato le spalle a Veltroni per via delle sue scappatelle  con la lotta di genere (matrimoni omosessuali e relativi registri comunali), un rapporto durevole e antico.  Sbaglia, al riguardo, il finiano Lanna quando rivendica  polemicamente il percorso di avvicinamento tra missini e ciellini già avviato negli anniOttanta nelle università romane. Sbaglia, Lanna, perché la filogenesi di  questa complicità teorica e pratica che ha portato Alemanno a farsi araldo e operaio della dottrina giudeocristiana nel libro di Cerasa è descritta con precisione.Basta leggere bene, senza diffidarne da lontano.  Eppure la destra diffida e diffiderà di questo saggio  che risulta più svantaggioso per uomini di potere come  Caltagirone o per altri suoi colleghi palazzinari, per  non dire di come esce malconcio lo stesso sistema arnifica mitopoiesi culturale da centro storico. Ma noi conosciamo per esperienza diretta il grado di sospettosità  dei dirigenti post fascisti. E’ un moto dell’anima spesso  comprensibile, poiché maturato in lunghi anni di discriminazione subìta senza poter opporre la propria  versione, senza poter spiegare l’ingiustizia della propria minorità. Ma oggi tutto questo non è più. Alemanno e i suoi virgulti ormai cresciuti sono un fenomeno  egemonico, non soltanto dal punto di vista elettorale.  Non devono prendersela a male se qualcuno ricorda loro che stanno amministrando Roma anche grazie alla  falange dei tassisti; in virtù della non belligeranza con  la lobby del mattone o dei circoli di canottaggio; forti di  un personale interno un po’ preso in prestito dalle riserve democristiane, un po’ residuato dai rivoli delle  catacombe.  Giacché né ad Alemanno né ai suoi intimi (come  Rampelli, Augello e Croppi) fanno difetto gli strumenti per scendere a patti con certi dati di realtà o la solidità culturale per rendere ragione delle proprie astuzie quotidiane. Cerasa – lo si capisce benissimo studiando il suo libro, ma si può equivocare se lo si scorre  a strattoni immusoniti – non ha costruito un lavoro a tesi. Certo non è un simpatizzante alemanniano, ma tradisce semmai un’inquieta fascinazione nei confronti  del branco dei Lupomanni che ha preso Roma dopo  averla accerchiata e sedotta.

Alessandro Giuli

Il Foglio, 31 ottobre 2009

 

La Presa di Roma sul Secolo d'Italia




La vittoria di Alemanno nel 2008? Una ricostruzione giornalistica riduce tutto alla "presa di Roma"

Alemanno in Campidoglio

Luciano Lanna
«Cosa succede quando la Capitale di un paese cambia colore politico dopo quindici anni? Chi sono gli uomini che oggi hanno in mano il vero controllo di Roma? Con le elezioni del 28 aprile 2008 vi è stata una storica inversione di rotta che ha sconvolto completamente la geografia del potere non solo romano ma anche italiano: il blocco di consenso legato al centrosinistra di Walter Veltroni si è sgretolato e il centrodestra di Gianni Alemanno ha conquistato Roma. Gli equilibri ormai logori della città sono crollati in un lampo: dalle periferie più disagiate, vecchie roccaforti rosse, alle lobby più intoccabili, si è assistito a una vera e propria rivoluzione. In quei mesi, e in quelli successivi, ci si è ritrovati di fronte a una realtà che si stava profondamente trasformando...».
Questa lunga citazione è l'avvio dell'introduzione di La presa di Roma (Rizzoli, pp. 220, € 9,80), primo saggio giornalistico dedicato alla "svolta" politica determonatasi nella primavera 2008 in Campidoglio e scritto da Claudio Cerasa, giovane cronista nato a Palermo e che da quattro anni è in forza alla redazione del Foglio. Un libro denso di informazioni, di riprese dalla stampa, di collegamenti ma che, purtroppo, risente un po' troppo di interpretazioni e schemi di lettura desunti da quella che potremmo ormai definire "la versione del Foglio". A fronte di un evidente sforzo teso a far emergere i cosiddetti nuovi detentori del potere romano e a delineare un presunto ritratto della nuova destra capitolina, si registra un eccesso di schematismo e la volontà di far rientrare tutto all'interno di un quadro unitario. Cerasa sostiene che per tentare di spiegare quanto è successo a Roma «bisogna entrare nella città che non si vede, parlare con le persone che la tengono in pugno, bisogna andare nelle stanze dei palazzi di potere, ascoltare le esigenze dei tassinari più agguerriti, dei circoli sportivi più esclusivi, i desideri delle zone più marginali, dei curvaroli, dei postfascisti. Bisogna osservare la storia e le posizioni dei costruttori, delle banche, degli imprenditori, della Chiesa. E mettere insieme le tessere di un mosaico di voci». Ma l'impressione è quella di un eccesso di velocità nella ricerca e qualche superficialità nella ricostruzione sotto l'urgenza di far rientrare i dati nell'interpretazione predefinita. Che sarebbe, in sostanza, quella di un presunto piano del sindaco Alemanno «per tentare nel 2013 di succedere all'attuale presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi».
Da qui qualche citazione forse non verificata e anche inesatezze marginali ma che, nel complesso, appaiono come sintomi di un metodo che avrebbe richiesto maggiore rigore. Così, ad esempio, l'assessore alla Cultura Umberto Croppi, che aveva 52 anni nel 2008, diventa sessantenne, Così, senza verifica, si sostiene che l'assessore all'Urbanistica Marco Corsini sarebbe stato imposto da Gianni Letta. Così, ma gli esempi potrebbero continuare, si stabilisce un collegamento diretto tra l'esperienza dei Campi Hobbit - ma come avrebbe potuto uno dei promori di allora definirli «ritiri spiritual-muscolari»? - degli anni Settanta-Ottanta e il movimentismo di CasaPound che in realtà non solo non è corretta ma falsa la ricostruzione storica dei percorsi della destra giovanile degli ultimi decenni. Sullo stesso piano non corrisponde a come sono storicamente andate le cose la ricostruzione che si dà del rapporto tra una certa destra postfascista e Comunione e liberazione, vicenda che in realtà nasce nei primi anni Ottanta nei due atenei romani. Come si fa, poi, a presentare Fabio Rampelli come colui che a suo tempo avrebbe suggerito ad Alemanno di concentrarsi «sulla nuova generazione di fasci moderati». E a delineare Andrea Augello come l'espressione di una destra «considerata un po' pariola, un po' chic»?
Non mancano certo passaggi in cui ci si avvicina alla chiave del successo alemanniano: lo sfondamento nei settori ideologicamente schierati in precedenza a sinistra e territorialmente presenti nelle aree periferiche. «È nelle periferie - si legge in una citazione di Croppi - che ha cominciato a diffondersi una certa cultura che man mano è diventata dominante, che non ha più avuto bisogno di nascondersi in luoghi protetti e che ha finalmente preso il posto di quella portata avanti da quelle persone che fino a oggi avevano tentato di imporre a tutti i costi l'agenda culturale alla città». Ma su questo sono molto più utili le pagine del libro Populismo globale di Guido Caldiron - nel capitolo intitolato "Una destra normale" - o quelle di Ricominciamo dalle periferie (curato da Massimo Ilardi e Enzo Scandurra) in cui "da sinistra" ci si è interrogati sull'intera vicenda senza pregiudiziali. Qui, come abbiamo invece detto, sulla fenomenologia tende a prevalere la tesi. Che sarebbe quella riassunta nella frase finale dell'intero libro: «Alemanno ha fatto una scelta precisa e ha capito che ci vuole un po' di tutto, un po' di lobbisti e un po' di costruttori, un po' di tassisti e un po' di imprenditori, un po' di fascisti e un po' di assessori, per tentare di fare il colpaccio e per potersi un giorno presentare sulla vetta politica più importante d'Italia e bisbigliare la stessa parola sussurrata quella sera del 2008. Presa».


29/10/2009

Qui.

La Presa di Roma sull'Ansa




LIBRI:ESCE 'LA PRESA DI ROMA',RITRATTO NUOVA DESTRA CAPITALE  (ANSA) - ROMA, 29 OTT - La cronaca di una rivoluzione. E, per dirla con le parole dello stesso scrittore la cronaca della rivoluzione e dei segreti di una città, Roma, dagli anni di Rutelli e Veltroni ad oggi. Oggi che ad amministrare la capitale è arrivato Gianni Alemanno. E' un affresco a tutto tondo, ma anche a tinte forti, quello descritto da Claudio Cerasa, giornalista, autore di "La presa di Roma", edito da Bur-Rizzoli nella collana Futuro Passato. Ed è una raffigurazione che affonda le radici in alcune domande per descrivere la nuova destra romana, guidata da un sindaco che ha conquistato categorie sociali, ed interi quartieri, da sempre appannaggio della sinistra. Quali sono i veri padroni e quali sono i volti sconosciuti che nel silenzio governano la città? Si chiede Claudio Cerasa nelle 208 pagine de 'La presa di Roma'. C'è qualcosa di più profondo, e qualcosa di più misterioso, di una semplice svolta politica nel modo in cui la nostra Capitale ha improvvisamente cambiato parte. In poco più di una un anno Roma si ritrova comandata da una nuova e fortissima rete di potere, racconta lo scrittore. Una rete fatta da costruttori, palazzinari, avvocati, architetti, immobiliaristi e presidenti dei circoli sportivi. E che mette insieme Vaticano, centri sociali, editori, giornalisti, tassisti, lobbisti, ebrei, fascisti e persino comunisti. Insomma, nello spiegare la Roma di oggi, Cerasa ci consegna la sua verità: "Alemanno ha imparato a goveranare le stanze più segrete della capitale e si prepara ad essere il prossimo vero candidato di centrodestra alla guida del paese". (ANSA).

La Presa di Roma su Palazzo Apostolico di Paolo Rodari







Cerasa in Vaticano

Dalla “Presa di Roma” di Claudio Cerasa (Bur, 218 pagine,9,80 euro) - un volume dedicato al cambiamento che Roma ha subìto dopo la vittoria di Gianni Alemanno alle amministrative dell’aprile 2008 - leggo il capitolo “Il Sindaco pellegrino”. Ovvero i rapporti inevitabilmente intrecciati tra lui, Alemanno, e la Santa Sede (in varie manifestazioni rappresentata). E scopro che, se un successore di Berlusconi mai ci sarà - è ovvio che ci sarà, il punto è indovinare quando - questo più che Fini potrebbe essere Alemanno. E il Vaticano c’entra. Nel senso che l’elettorato tendenzialmente cattolico - e quindi gran parte dell’elettorato moderato del centro destra: qui cattolico s’intende vicino idealmente ai princìpi della fede ma non necessariamente praticante - potrebbe scegliere lui nel caso si candidasse. Il Papa in qualche modo l’ha già benedetto: Ratzinger ha incontrato Alemanno otto (otto!) volte. L’ultima volta i due si sono visti al Campidoglio. Notare: “La presenza di un Pontefice al Comune è un evento oltre che storico anche piuttosto raro. Prima era successo appena tre volte”, scrive Cerasa. Il Papa ha mostrato un certa confidenza nei confronti di Alemanno quando, nel giugno 2008, gli ha detto queste parole (a rileggerle fanno impressione): “Roma comincia a essere consapevole dei suoi mali, e questa consapevolezza può aprire una nuova stagione, creare uno sforzo comune per ridare un volto bello e fraterno alla citta”. E poi tante altre cose. Fino alle varie modalità con le quali Alemanno ha ricambiato la super-cortesia vaticana: con lui sindaco di Roma, il 20 settembre (la giornata che ricorda l’annessione di Roma al Regno d’Italia, 1870), è diventata memoria degli zuavi pontifici morti per difendere il regno del Papa. Proprio di loro, degli zuavi pontifici. Il testo di Cerasa merita anche per un motivo stilistico: si raccontano gli intrallazzi - non c’è niente di male che vi siano intrallazzi, almeno secondo me - tra Comune e parti della Santa Sede, ma non si scade mai nel volgare, ovvero, nell’ideologia anti-papista.

Un po' del libro lo trovare QUI. Tutto il libro, invece, in libreria.

Paolo Rodari, 29 ottobre 2009