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martedì 25 settembre 2007
Su Kabul
Immaginate la situazione in Afghanistan. Dunque, i nostri militari – in campo di guerra – sono ufficialmente lì a combattere sì, i Talebani, ma in missione di pace. Peace-keeping, ricordate? Dunque sono lì tecnicamente per difendersi e possono attaccare solo per difendersi, quindi per difendere la pace. Significa che non possono sparare. Soltanto che i nostri militari fanno parte di una strutturata compagine militare che – a differenza nostra (e a differenza spagnola) spara anche per combattere i terroristi e i guerriglieri – che ogni tanto va in missione con quelli che sparano. Gli altri sparano, noi no; significa che, per assurdo ma mica tanto purtroppo, se gli italiani dovessero trovarsi in una spedizione contro i talebani (anche per difendere la pace, ma con un attacco militare) praticamente non possono utilizzare nemmeno una fionda, per non infastidire i vari Diliberto italiani. Capirete che Parisi, ministro della difesa che ha studiato alla Nunziatella, non sia proprio eccitato dalla situazione. Lui sa che in Afghanistan si combatte per difendere ma anche, grazie al cielo, per attaccare. Per questo ieri ha dato il via libera al primo attacco, diciamo, non "pacifico", della storia della repubblica italiana (così ha scritto oggi Carlo Bonini su Repubblica senza essere stato ancora smentito). Per questo, ieri, i nostri militari si sono comportati in maniera normale, senza prendere per il culo nessuno. In Afghanistan siamo in guerra. Una guerra sacrosanta, dunque – se serve – ogni tanto si deve sparare, e non solo per pararsi il culo, ma anche per attaccare.
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