Al direttore - Perché si scrive un pezzo come “La Pasqua di Paolo Tommaso” (sabato 31.03.07)? Glielo chiedo, con sincerità e cercando di rimanere in poche frasi. Gli errori nelle diagnosi sono spesso gravi, inducono molte scelte sbagliate, provocano drammi che durano una vita e privano di persone; anche di quelle che hanno vissuto e dato vita, hanno amato e sono state amate e non saranno sostituite. Il suo articolista ce ne ha raccontato uno di errore; piangendo l’ennesima vittima, ci servirà ad esigere di più da una disciplina, la medicina, a cui i più di noi debbono vita e salute. La legge è un altro argomento serio ma difficilmente impasti di morbosità e moralismo come quelli dell’articolo renderanno un buon servizio all’obbligatorio esercizio di trovare un compromesso che valga per il paese tutto. |
Luca Breccia, via web |
Risposta del Direttore |
Lei è un lettore distratto. L’articolo di Claudio Cerasa era un atto evidente di pietà e di riconoscimento, il racconto breve di una breve vita del nostro secolo, senza nemmeno l’ombra della morbosità, senza un solo accenno di moralismo, uscito dalla tastiera del più giovane tra di noi, perfetto come un sentimento di alta compassione umana. Ma lei non è distratto, ho sbagliato. Lei appartiene alla categoria degli eufemisti e dei censori che voltano la faccia dall’altra parte e non sopportano lo sguardo della realtà su di noi. Lei pensa che sia caritatevole abrogare i sei giorni in terra di una persona abortita viva dimenticandola come un errore statistico nel corso di un aborto terapeutico. Lei vive in un racconto di Philip K. Dick, e non lo sa. |
Cerazade ha cambiato indirizzo, e ora è qui
mercoledì 4 aprile 2007
Tra le lettere del Foglio di oggi
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