Cerazade ha cambiato indirizzo, e ora è qui
lunedì 28 dicembre 2009
La Presa di Roma su Milano Finanza
Nei giorni in cui il centro-destra candida Renata Polverini, segretaria dell'Ugl, alla presidenza della regione Lazio, mentre il centro-sinistra, ancora preda dei postumi del caso Marrazzo, non ha ancora trovato il suo campione, è sicuramente utile leggere La Presa di Roma, il bel libro che Claudio Cerasa ha dedicato al ciclone elettorale che poco più di un anno fa ha spazzato via il «Modello Roma», quel misto di strategia di comunicazione e potere reale che ha gestito la Capitale per quindici anni, durante i quattro mandati di Francesco Rutelli e Walter Veltroni.
Il libro, edito dalla Bur, si legge d'un fiato. Montato come un'inchiesta giornalistica non trascura la profondità d'analisi più tipica del saggio, riuscendo a radiografare i perché di una sconfitta storica, ma anche a raccontare ciò che c'è dietro la strategia del nuovo sindaco, Gianni Alemanno, impegnato a conquistare tutti i gangli di potere, anche quelli più nascosti, che muovono una realtà complessa com'è Roma. Già perché a franare il 28 aprile del 2008 non è stata solo una maggioranza politica, ma anche un accordo trasversale che ha guidato, con la tradizionale riservatezza dei due sottoscrittori, ogni scelta fondamentale per la Capitale. L'accordo siglato dai due «gemelli diversi», Goffredo Bettini e Gianni Letta. Cerasa, giovane cronista del Foglio (è nato a Palermo nel 1982), è abituato, infatti, a cercare cosa si muove sotto la superficie della cronaca politica, così nel suo libro racconta tutti i retroscena di una battaglia ancora in corso e di cui non si è ancora trovata traccia sulle pagine dei quotidiani. Lo scontro tra il sindaco e il principale collaboratore del premier Silvio Berlusconi. Sì, perché se Bettini è finito in un cono d'ombra dopo che Walter Veltroni (di cui era una sorta di Richelieu) ha lasciato anche la segreteria del Pd, Letta è ancora in sella, ben deciso a non perdere la presa. (riproduzione riservata)
La Presa di Roma sulla Stampa
Oppure salta fuori, pi dettagliato del previsto, l'improvviso sodalizio tra Alemanno e Francesco Gaetano Caltagirone; perché a Roma non si vince se non si hanno i palazzinari dalla propria. In verità, a Roma non si vince se non si hanno i palazzinari dalla propria, ma anche le municipalizzate, oppure i circoli della bella gente danarosa, nobile e annoiata. Non si vince se non si hanno dalla propria i tassinari che di colpo, in tempo d'elezioni, tralasciano di sintonizzarsi sulla solita stazione full-football e si danno all'informazione politica e alla propaganda coi clienti in un circolo virtuoso ed efficacissimo. Non si vince se il Vaticano non strizza l'occhio, Non si vince (era il pregiudizio) specialmente se il centro storico, fighetto e radical chic, tutto una botteguccia, un aperitivo, tutto una pashmina e una spettinatura eccetera, sta dall'altra parte. Una delle pi felici intuizioni di Claudio Cerasa, giovane cronista del Foglio, è stata quella di cominciare il suo fitto e dovizioso libro (La presa dì Roma, Bur, pp. 218, 9,80) dalla constatazione fattuale che le periferie hanno stretto il centro - lo hanno accerchiato - riducendolo a enclave del birignao, che poi non è una cosa piovuta dal cielo, visto che già alle Politiche del 2006 molte borgate avevano scelto la Casa delle libertà.
E per lì c'è stata la presa d'atto che la strategia veltroniana del concertume, delle notti bailade dei red carpet, era una strategia ch forse portava del prestigio, l'applauso dell'intellighenzia, ma ai margini del l'impero si restava nel solito degrado che non è soltanto buca nella strada, Sono almeno tre o quattro i capitoli che sanno spiegare in profondità le ragioni dell'inatteso trionfo dell'onda nera (come sciaguratamente la definì Rutelli), quello sui tassisti, coi ritratti dei peggiori ceffi della categoria, quello sull'oro dei circoli, con la fotografia di gruppo dell'eterno generone danaroso incapace di mettere il tappo alle piscine, quello sulla finanza che decide di puntare su un cavallo nuovo per proseguire la cavalcata. E, forse per la ragione che il libro è stato concepito a ridosso del trionfo, ne viene fuori la figura di un Alemanno intelligente, scaltro, ben posizionato e agganciato, e cioè il vero uomo della successione a Silvio Berlusconi, una successione che già oggi pare sfiorita.
Mattia Feltri
17/12/09
giovedì 26 novembre 2009
mercoledì 18 novembre 2009
La Presa di Roma sul Secolo D'Italia (intervista)
Roma. Claudio Cerasa, redattore capo del Foglio è autore del libro La presa di Roma, (Bur, 207 pagine, 9,80 euro). Un libro inchiesta che racconta la svolta di una città che ha cambiato colore politico, dopo quindici anni ininterrotti di giunte rosse ed è passata al centrodestra. Una svolta che ha portato all'elezione di Gianni Alemanno, primo sindaco ex missino, e che ha mandato in soffitta il «modello Roma» ideato da Goffredo Bettini e Walter Veltroni. Un libro che descrive i primi diciotto mesi del centrodestra alla guida della Capitale. Cerasa, 27 anni, nato a Palermo, ama definirsi «un osservatore esterno del pensiero alemanniano».
La Fondazione Nuova Italia ha presentato l'agenda delle priorità da indicare al governo. Una sollecitazione che la sorprende?
No, assolutamente. Mi sembra coerente con la politica espressa finora dal sindaco di Roma, che potrebbe rappresentare al meglio la risposta del Popolo della libertà alla Lega.
In che senso?
La sua è una politica espressa concretamente, sul campo, che finora ha pagato in termine di consensi come dimostra la vittoria alle Comunali.
Differenze con le posizioni del resto degli esponenti Pdl?
Sostanzialmente la trovo molto coerente con il percorso di Alleanza nazionale. Negli ex An, ci sono più differenze di forma che di sostanza.
Ad esempio?
Prenderei a modello le forme di comunicazione tra Gianfranco Fini e Gianni Alemanno. Il primo ha un rapporto più dialettico con Berlusconi, il secondo preferisce lavorare più dal punto di vista quotidiano con attività di amministratore pubblico. Alla fine, però, non scorgo grandi discrepanze. Semmai, da entrambi arrivano dei segnali molto positivi per l'immagine di una destra moderna.
Quali?
Faccio l'esempio delle recenti dichiarazioni pubbliche per una destra dei diritti, una destra garantista. Parlo sempre da osservatore esterno ma sono davvero lontani le immagini che arrivavano di una destra caciarona e giustizialista. Su questi argomenti la destra finiana e alemanniana segnano un dato di grande maturità.
Tra i convegni della Fondazione Nuova Italia quali quelli che solleticano maggiormente la sua attenzione?
Sicuramente quelli sul Welfare. Ad esempio il tema della partecipazione dei lavoratori ai destini della loro impresa mi sembra particolarmente significativo. Questa sponda con gli ex socialisti continua. La Fondazione di Alemanno con Giulio Tremonti, Maurizio Sacconi, noi al Foglio li abbiamo ribattezzati i bismarckiani rappresentando una specie di corrente del socialismo tricolore.
Nel suo libro lei insiste sul dualismo Alemanno-Lega. Come mai?
Mi pare che sia evidente. Eppure c'è un altro dato politico strano. Nella storia repubblicana non esistono grandi leader che rappresentano Roma. Non c'è un politico che sia espressione della capitale. E non c'è mai stato nessuno, a parte Massimo D'Alema e Giulio Andreotti, presidente del consiglio romano. La Lega parla tanto di Roma ladrona, ma questo invece è un dato che balza decisamente all'occhio.
18/11/2009
lunedì 16 novembre 2009
Caloche, pioggia, Bertolaso e brillantini
Da oggi questo blog ospiterà periodicamente alcuni commentini esterni il più possibile politicamente non corretti su vari argomenti. Qui si parla di moda e politica
"Speriamo che piova", cosi suonava una vecchia canzone di Fabio Concato che osservando le vetrine delle nostre città potrebbe diventare il melanconico refrain di questo autunno-inverno: una autentica "inondazione" di stivali di gomma per delle piogge che, a giudicare dalle previsioni dei trend setters, promettono di essere di gran lunga peggio di quelle tropicali.
Intanto però la pioggia tarda ad arrivare, l'estate di San Martino ci continua a regalare temperature deliziosamente miti per la stagione e dalle vetrine di tutti i negozi, ma proprio tutti (dal marchio di grido più in alla catena dozzinale dove non compreresti nemmeno un ombrellino da viaggio) fanno capolino una miriade di modelli che ci ripropongono le vecchie caloche che ci metteva la mamma da piccoli in tutte le fattezze possibili.
Ci sono quelle basic, che vogliono somigliare sempre più a uno stivale normale, sfoggiando però quell'allure sportivo, che fa tanto sciura che va al mercato il sabato mattina e che costano comunque un occhio della testa. Poi ci sono quelle imbottite di pelo, di lana, coperte di lurex o brillantini, a fantasia o tinta unita con calzettone di lana incorporato per scongiurare eventuali geloni invernali (cosa che a Roma sono ben rari). Infine trovi quelle griffatissime, cosi belle e cosi chic, ma con un prezzo decisamente esagerato se pensi che dopotutto si tratta pur sempre di uno stivale di gomma.
Ma noi donne, si sa, abbiamo bisogno di sentirci sempre un po’ bimbe e cosa c'è di meglio di un accessorio vezzoso per soddisfare le nostre regressioni infantili e placare il nostro bisogno disperato di shooping? Ma allora, dannazione, perché la metereologia non ci viene incontro? E’ vero, per tutta la vita abbiamo combattuto pioggia, neve e umidità come eterne nemiche delle nostre indomabili capigliature (nessuna, ma proprio nessuna, ama andare in giro con una testa simile a un fungo atomico), ma adesso quei simpatici stivaloni colorati e lucidi potrebbero invece riuscire a farci tollerare quei fenomeni atmosferici che da sempre ci rendono schiave di noiosissimi e costosissimi rimedi anti crespo.
E poi proprio ora che Bertolaso ha dato il suo forfait per un nuovo mandato alla protezione civile, beh, ci saremo anche noi a dare il nostro contributo: un esercito di fashion victims armate di confortevolissime caloche, pronte per affrontare con coraggio le prossime torrenziali piogge.
Georgina Dress
sabato 14 novembre 2009
La presa di Roma sul Tempo
venerdì 13 novembre 2009
Papale papale, che cosa dovrebbe fare Rutelli
In fondo Francesco Rutelli avrebbe una grande chance. Un vero partito liberale che abbia la forza di comunicare e promuovere idee il più possibile liberali sarebbe più che opportuno dalle nostre parti. A loro modo ci provano ogni tanto i Radicali ma poi finisce che si intimidiscono e che non riescono quasi mai a imporre nel dibattito culturale italiano le loro idee in questo settore. Rutelli, tra le formidabili piroette politiche che ha fatto nel corso degli anni (lo sapete: verdi, radicali eccetera eccetera) ha sempre tentato di fare quello un po’ più liberale degli altri. E anche i suoi uomini e le sue donne che lo hanno accompagnato nelle sue avventure politiche (vedi Linda Lanzillotta soprattutto) delle buone idee di liberalizzazione le hanno avute, e questo va detto. E’ vero che un partito che nasce sponsorizzato da Calearo e da Guzzanti può suscitare alcune perplessità ma in realtà dietro la cosa rutelliana esiste un buon margine di manovra. Sembra un paradosso, perché le recenti crisi economiche sparpagliate qua e là in giro per il mondo sono state spesso accompagnate da parole come “fine del capitalismo” e cose simili. Ma in realtà quei mesi che avrebbero dovuto riportare in giro per il mondo una sorta di socialismo (chissà che significa oggi quest’espressione) in una versione aggiornata ai nostri tempi hanno in realtà prodotto un effetto diverso. Insomma, guardatevi in giro. In pochi mesi, le ultime due più importanti elezioni europee hanno prodotto risultati niente male per i liberali del continente. Alle europee del 2009 in Inghilterra, i liberali di Nick Clegg hanno ottenuto un risultato choc: il 13,7 per cento dei voti. Alle recenti elezioni tedesche i liberaldemocratici di Guido Westerwelle hanno preso persino di più: il 14,6 per cento. Cercare di trovare sponsor importanti per la propria iniziativa politica è naturalmente cosa buona e giusta. Rutelli, Tabacci e tutti gli altri hanno già creato una buona rete che mette insieme un po’ Carlo De Benedetti, un po’ Luca Cordero di Montezemolo e un po’ – almeno a quanto pare – anche quel mondo legato ai Benetton. Tutto questo è giusto. Ma una volta creata la sua rete Rutelli dovrebbe stare molto attento a cercare di farsi intervistare dai suoi giornali amici non tanto per discutere di temi appassionante come le alleanze per le regionali, ma piuttosto dovrebbe tentare di diventare portatore unico del pensiero liberale tentando magari di farsi dare qualche suggerimento da quello che in molti si augurano che diventi il suo vero punto di riferimento. Il suo personalissimo modello tedesco: Guido WesterWelle.
giovedì 12 novembre 2009
Ma insomma, che farà Fini da grande?
martedì 10 novembre 2009
La Presa di Roma sul Foglio/2
Croppi, Storace e Lanna. Girotondo stracittadino sul modello Lupomanno (se esiste)
Alemanno, Fini e Berlusconi. Il governo della Capitale. Il rapporto con i poteri più o meno forti della città. Il destino del sindaco di Roma. Il tentativo di riscatto del centrosinistra capitolino. Il futuro della destra romana. Sono queste alcune tra le principali domande della “Presa di Roma” (Rizzoli, 9,80 euro), il libro inchiesta con cui Claudio Cerasa spiega chi comanda a Roma, che cosa succede quando la città cambia colore e quali sono le mosse con cui Alemanno sta cercando di rafforzare la propria leadership anche in competizione con gli attuali uomini forti del centrodestra. Il Foglio ha invitato a discutere su questi argomenti alcuni protagonisti della destra romana. E a parlare di questi temi, con Alessandro Giuli e Claudio Cerasa, sono intervenuti l’assessore alla Cultura di Roma Umberto Croppi, l’ex presidente della regione Lazio Francesco Storace, il direttore responsabile del Secolo d’Italia Luciano Lanna.
Foglio: E’ Croppi quello più vicino al bersaglio del libro di Cerasa: cominciamo da lui. Il libro è un contributo alla riflessione sul sindaco di Roma e sulle sue prospettive. Una buona unità di misura per ricominciare un dibattito sulla destra, sulla destra che amministra, su un amministratore che noi più volte abbiamo descritto come il possibile rivale di Fini quando si trattava di discutere di Alleanza nazionale e che abbiamo considerato, per quanto possibile, come un possibile protagonista di prima grandezza del post berlusconismo.
Croppi: Il bersaglio non è tanto Alemanno, se di bersaglio si può parlare, ma è Veltroni. La cosa che più emerge dal libro è il sistema di potere di Veltroni, Bettini e Letta (anche se il ruolo di questi ultimi due è un po’ enfatizzato). Se di modello Roma si può parlare, il modello sta in questo: una rete di mediazioni fatta tra costruttori e alti ambienti che a Roma contano e l’attribuzione di un ruolo a realtà che sono diventate luoghi della politica al di fuori delle istituzioni: i circoli per esempio, i salotti romani. Io potrei descrivere la costruzione di questo modello di potere che Alemanno, mettendo insieme lobby di vario tipo, è riuscito a far suo. Il sindaco – questo è il mio giudizio da coprotagonista della vicenda – quel meccanismo l’ha capito perfettamente, l’ha utilizzato per la campagna elettorale per scardinarlo e nel primo anno di guida della sua amministrazione ha in parte sfruttato quello scenario riuscendo a cambiarne radicalmente il profilo e riportando il primato della politica sull’intreccio di affari e buone relazioni.
Foglio: Croppi, lei qualche tempo fa ha usato queste parole: “Arriverei a dire che la destra si gioca il futuro più a Roma che con il governo nazionale. Anche perché, anagraficamente, la classe dirigente è avviata alla pensione”. Ecco. La domanda è questa: Alemanno è riuscito oppure no a far suo questo sistema di potere che si estendeva intorno a Veltroni facendosene uno tutto suo? E poi: il sindaco ha le carte giuste per essere un potenziale competitor del centrodestra oppure no?
Storace: E che te lo viene a di’ a te?
Croppi: Scherzi a parte: governare bene Roma per questi cinque anni, naturalmente, è propedeutico anche per altre ambizioni. Intanto bisogna governare bene la città poi il resto lo si vedrà alla fine del mandato. Sul modello del potere, invece, è chiaro che per amministrare una città così complessa bisogna tenere conto di tutti gli interessi legittimi che sono rappresentati anche dalle forze imprenditoriali. Lo sforzo che sta facendo Alemanno, e mi pare anche con qualche successo, è riportare al centro il governo della città, che deve essere il governo degli interessi, ma attenzione: non devono essere gli interessi a governare la città.
Foglio: Lanna ha scritto per primo sul Secolo una recensione su questo libro, che non si può definire antipatizzante ma in cui ha mosso una serie di rilievi. Oltre ad aver notato alcune imprecisioni, ha detto che forse altri libri hanno esercitato meglio la critica costruttiva e l’analisi nei confronti della destra. Ma nel caso di Roma e Alemanno questo è un libro che se ne occupa in modo organico. Perché hai usato questo atteggiamento di diffidenza nei confronti del libro.
Lanna: Insomma, vogliamo parlare della dottrina Alemanno? Il discorso secondo me è molto semplice. Tutto gira attorno a due fatti: la necessaria alternanza politica in una città e gli elettori di sinistra che diventano di destra. Mi spiego meglio. Quello che ho notato nel libro è uno schema ideologico di lettura di questa vicenda che stona con la realtà. Sono profondamente convinto che a Roma la maggioranza degli elettori siano diventati di destra e abbiamo portato la destra a vincere. Ma avendo conosciuto nei mesi decine di amici di sinistra, anche di estrema sinistra, che hanno votato Alemanno ancora oggi credo che Roma non sia diventata di destra, ma che sia piena zeppa di cittadini che non ragionano più con schemi ideologici, e che più semplicemente – stanchi di Veltroni e Rutelli – abbiano voluto provare la terza carta, scegliendo così Alemanno. Si tratta proprio di quello che una certa destra ha sempre classificato come “sfondamento a sinistra”. Ebbene, quell’interpretazione teorica è diventata reale con la conquista di Roma. Non è un caso che Alemanno abbia vinto proprio in quelle periferie che un tempo votavano Dc (o Pci) e che sia riuscito a scardinare quel sistema di potere che aveva trasformato i dirigenti di centrosinistra in semplici amministratori del centro storico capitolino.
Foglio: C’è una cosa che va precisata. Non è giusto dire, come invece sostiene Lanna, che con Alemanno vi sia stata una semplice alternanza nella città e che sostanzialmente il primo passante – quale che fosse stato – avrebbe raccolto le ceneri di Veltroni e trionfato su Rutelli. E’ diverso: se non ci fosse stato un Alemanno – un uomo che ha un profilo identificabile più di altri – forse sarebbe andata in un altro modo. A Roma ha vinto Alemanno in quanto Alemanno. Noi, poi, abbiamo definito il sindaco di Roma un “bismarckiano”, ovvero un politico che coltiva una forma di autoritarismo sociale aggiornato ai nostri tempi ma che contemporaneamente, come ha scritto Cerasa, sa porsi come amministratore unico dell’insicurezza del cittadino. In più, Lupomanno ha avuto la scaltrezza di contrarre una serie di debiti preventivi nei confronti di quelli che erano gli interlocutori di Veltroni, dai grillini ai circoli, dalla Cdo all’Opera romana pellegrinaggi. Per il resto si vedrà se riuscirà a dare un profilo a se stesso senza dover soltanto obbedire agli strattoni che riceverà.
Storace: Questa discussione è cominciata parlando di quello che succederà fra qualche anno. Bene, partiamo da lì. Io a Roma, nel Lazio, ho conosciuto il potere in questa città e la penso così. Anche a livello nazionale, la leadership di Veltroni è stata alimentata dal patrimonio che gli ha offerto Goffredo Bettini, e non è un caso che con la parabola di discesa di Bettini il Pd abbia perso le elezioni. Quando a Roma parliamo di poteri forti parliamo di una cosa semplice: colossi che pretendono di comandare, gruppi che esistono a prescindere dai colori politici della città, e con cui bisogna confrontarsi e senza i quali non si può andare avanti. Anche per questo, io credo, la vittoria di Alemanno è stata un miracolo e non può essere sottovalutata neppure oggi. Alemanno è stato bravissimo a scardinare quell’insidiosissimo sistema di potere che era ormai entrato nelle viscere della città ma ora, a un anno dalla sua elezione, deve stare attento al rischio delusione che può compromettere la percezione della sua leadership politica. E questo vale anche per un discorso di carattere nazionale. Se oggi qualcuno mi chiedesse qual è la cosa più positiva che ricordi del primo anno di Alemanno, risponderei: “Il Pincio”. Lì sì che si è visto il sindaco, perché si è vista la volontà politica. Detto ciò, ovviamente il Campidoglio è una macchina mostruosa e di Alemanno tutto si può dire tranne che non sia un lavoratore. Magari da qui alle prossime elezioni regionali però dovrebbe stare di più sulla città perché non arrivino elementi di distrazione. Soprattutto deve smetterla di avere paura di se stesso, deve smetterla di andare in avanti rifiutando quello che è stato ieri.
Foglio: Credete che esista oggi una concreta possibilità che il sindaco di Roma riesca a ritagliarsi una statura politica capace di contendere la leadership agli attuali uomini forti del centrodestra? Insomma, a Fini e a Berlusconi?
Storace: Alemanno ha un problema. Ha paura delle orme. Ha paura di quelle sue orme del passato a causa delle quali teme di perdere la corsa per il futuro. Io credo che nel 2013, quando scadranno contemporaneamente il suo mandato e quello di Berlusconi lui non farà il leader del centrodestra perché è scritto che il successore di Berlusconi sarà un uomo della sinistra. Alemanno deve lavorare ancora più a fondo. Deve ragionare su come creare attorno a sé una piazza che possa dargli soddisfazioni anche tra dieci anni. Ma in questo deve essere più berlusconiano che finiano. In questo deve giocare una partita chiara. Deve piacere ai suoi uomini e non si deve preoccupare di piacere troppo a chi alla fine non ti vota – come invece fa Fini. Berlusconi invece ha una strategia vincente che consiste nel tenere sempre in eccitazione costante la propria curva, perché la storia insegna che tentare di piacere troppo alla curva avversaria alla fine ti porta a non piacer più a nessuno: Mario Segni docet. Se vuole creare attorno a sé un po’ di vera leadership Alemanno deve capire che cosa vuol fare. Prendete i campi rom. Vi ricordate che casino durante le elezioni? Era uno degli elementi di battaglia della campagna elettorale ma non ho ancora capito chi se ne sta occupando, cosa è stato fatto, che cosa è cambiato. La verità, se proprio devo essere sincero, è che è svanito l’entusiasmo per la vittoria, che c’è una squadra attorno al sindaco che è troppo inesperta, che ci sono consiglieri comunali che dicono cose che non andrebbero neppure pensate e che c’è un sindaco che in sostanza avrebbe bisogno di riordinare lo staff per tentare di governare la città e che invece non lo fa.
Foglio: Ma Storace sarebbe disposto ad aprire il pugno e a offrire la mano al sindaco, magari entrando persino in giunta?
Storace: No. Questo no. Io sono impegnato nella costruzione di un progetto politico quindi voglio fare quello che sto facendo. Mi meraviglia che non faccio parte della maggioranza, ma la giunta non mi interessa proprio. Voglio solo tentare di fare una cosa: capire se c’è un luogo politico in cui le idee della destra possono essere messe a disposizione. Francamente, oggi con Alemanno mi pare complicato. Troppe distrazioni. Troppo poco interesse alla città.
Foglio: Le distrazioni possono essere rubricate nella sindrome del veltronismo inconscio che attanaglia chiunque si sieda sopra questo tesoro archeologico storico culturale che si chiama Roma. Il punto è che Alemanno rischia di costruire attorno a sé una figura un po’ rarefatta di organizzatore del proprio consenso esterno immaginifico, tralasciando dall’altra parte temi per i quali è stato votato: dalla sicurezza alla pulizia. Un grande leader politico come è il sindaco di Roma deve invece avere alcune ragioni sociali. Alcuni obiettivi. Alcuni traguardi su cui può essere costruita una vera vittoria o una vera sconfitta. Veltroni è stato mandato via da Roma perché ha tradito una certa ragione sociale della città. Alemanno, attualmente, non sembra che quella ragione ce l’abbia.
Croppi: Per questo tipo di ragionamenti dobbiamo affidarci ad elementi oggettivi. Noi abbiamo una percezione filtrata della politica dalle pagine dei giornali. Non bisogna dimenticarci però alcuni dati e alcuni numeri. Questi, ad esempio, ci sono appena arrivati in Campidoglio e parlano piuttosto chiaro. La popolarità di Alemanno è in forte crescita. E’ oltre il 60 per cento. E dopo quasi due anni di sindacatura non si tratta più di un semplice idillio, o un’apertura di fiducia. Questa è la percezione oggettiva che la città ha di Alemanno
Storace: Avessi detto la percezione senza “oggettiva” sarebbe stata una frase perfetta. Umberto, qui non c’è nemico. E i sondaggi senza nemico che senso hanno? Ricorda che a ottobre Marrazzo era al sessanta per cento. Fai attenzione: se non c’è un contendente qual è l’alternativa?
Croppi: Il fatto è che dopo due anni qui ci troviamo di fronte al riconoscimento da parte di una buona parte della società romana che Alemanno è persona affidabile e capace, e che sta tenendo fede agli impegni. In qualche modo – e questo vale anche per i campi rom – ci sono risultati che sono stati acquisiti e c’è un certo riconoscimento da parte della Capitale. E’ chiaro che con un trend così forte bisogna conquistare giorno per giorno fiducia. Alemanno è arrivato alla fiducia impreparato, ma in quasi due anni ha mantenuto agli occhi degli elettori le promesse, lo ha fatto con un grosso attivismo personale. E soprattutto senza distrazioni. Ha volutamente ridotto la sua presenza come leader politico nazionale. Di conseguenza l’opinione pubblica e la stampa lo conoscono solo per quello che fa: il sindaco di Roma. Ma è una scelta, è la sua strada obbligata, è il vero test per diventare leader nazionale perché è la via migliore per mette in pratica le capacità personali.
Foglio: Ma Croppi è sicuro che sia proprio questa la via migliore?
Croppi: Il consenso attorno a Veltroni è colato a picco dal momento in cui l’ex sindaco è entrato in un’ottica diversa rispetto a quella per cui era stato eletto. Il veltronismo ha smesso di essere efficace quando ha tradito i suoi elettori, quando ha iniziato a essere qualcosa di diverso dal sindaco della sua città, quando si è improvvisamente candidato alla segreteria del partito prima e alla presidenza del consiglio poi. Credo sia proprio per questo che due anni dopo aver pesantemente sconfitto Alemanno il centrosinistra di Rutelli e Veltroni è stato sconfitto dall’attuale sindaco.
Foglio: E’ però molto importante che un sindaco di una città come Roma espicliti qual è il suo profilo politico. Su temi come la sicurezza, certo, ma anche su temi come la bioetica e come l’immigrazione ci dovrebbe essere più chiarezza. La domanda è questa: esiste una dialettica tra i due tra i più importanti esponenti della vecchia Alleanza nazionale? Esiste o no una competizione politica tra Alemanno e Fini?
Croppi: Alemanno e Fini rivestono due ruoli istituzionali che al momento li mettono al riparo dallo scontro o dall’incontro politico diretto. Uno parla dalla presidenza della Camera dei deputati, l’altro esercita azioni politiche che sono rivolte alla città. Su alcuni punti però è chiaro che ci sono delle significative differenze. Un punto in particolare: sin dal suo primo giorno in Campidoglio Alemanno ha detto che si sarebbe impegnato sui diritti civili ma che dall’altra parte non si sarebbe mai speso per le coppie di fatto. Qualcun altro invece mi pare che abbia fatto ragionamenti un po’ diversi.
Storace: Vedete, ho la sensazione che Alemanno tema Fini. E’ come se sentisse sempre sopra di sé la sua ombra e non riuscisse a togliersela di dosso. Anche nelle scelte più semplici, in quelle più elementari. Sembra quasi un complesso.
Foglio: In che senso?
Storace: Sono d’accordo con Croppi quando dice che Alemanno deve fare bene il sindaco di Roma per cinque anni, altrimenti disperde il suo patrimonio politico. Non ho dubbi che la percezione della città sia che è un bravo sindaco. Soprattutto, perché nessuno gli attribuisce ancora delle responsabilità. L’assenza di una leadership, che non mi sembra un dato contestabile, potrebbe però diventare presto un problema. Io ho avuto problemi di numero legale in consiglio regionale dopo il terzo anno, non, come invece succede ad Alemanno in comune, dopo il primo mese. Sulla pratica di governo della città, poi, vedo un messaggio debole. Anche nella stessa tutela nella Capitale. Possibile che Alemanno non abbia contatti con alcun ministro che si preoccupi di contrastare un Tremonti che taglia i finanziamenti a Roma? Possibile che Alemanno non riesca a imporsi sulla scelta della presidenza della regione? Ve lo immaginate Veltroni che prende posizione su questo o quel candidato e che poi viene prevaricato da un altro? Sarebbe stato un delitto. Invece qui nel Lazio c’è un continuo valzer di nomine. C’è Alemanno che lancia Andrea Augello come suo candidato, poi c’è Fini che impone Renata Polverini, poi arrivano altri politici che mettono in mezzo i propri nomi. Ebbene, se alla fine non verrà candidato l’uomo voluto dal sindaco è come se lui stesso venisse sburgiadato. Alemanno deve capire che la presidenza della sua regione è cosa sua e che se si perde qui il primo sconfitto è proprio lui. E’ un bene che Alemanno faccia campagna elettorale per questo o quel candidato ma ci sono ingenuità clamorose che rischiano di bruciare le sue possibilità di leadership futura. Spiegatemi: chi diavolo è che gli dà questi consigli?
Croppi: Storace tende a semplificare. Non mettere sul tavolo delle posizioni significa candidarsi a non discutere. Vero è che al sindaco verrà attribuito un ruolo fondamentale nella campagna elettorale e nel risultato. Ma è giusto che non ci siano strappi nella sua strategia: affarmare la leadership significa riuscire anche a tenere insieme più idee e posizioni e nella dialettica interna vedrete che alla fine sarà proprio Alemanno quello che si sarà mosso meglio.
Foglio: Significa che Renata Polverini non sarà candidata?
Croppi: Significa che Alemanno sarà quello che alla fine si sarà mosso meglio.
Storace: Sinceramente non credo che sia un orgoglio quello di poter intestarsi l’ultima raffica di Salò. Conta quello che si fa, e al momento quello che si fa è ancora un po’ inferiore rispetto a quello che non si fa.
Foglio: Abbiamo detto che Alemanno deve essere un buon sindaco di Roma prima di ogni altra cosa, ma Alemanno è anche simbolo della Destra sociale, e Storace lo sa bene perché è stato a lungo gemello del sindaco. La dottrina della destra sociale è una caratteristica che ha contribuito alla presa di Roma. Ma adesso quel tipo di pensiero latita un po’. Oggi, più che Alemanno, è Fini che spesso emerge come uomo di rottura sia sui temi bioetici sia sul versante delle idee sociali (vedi la sua esortazione alla sintesi tra capitale e lavoro al congresso del Pdl). Il risultato è che Fini coltiva idee che sono persino più interessanti della sua stessa biografia. Dall’altra parte, invece, Alemanno appare un po’ ingabbiato nello stereotipo del leader cittadino ultrasensibile alle posizioni e agli interessi ecclesiali. Nella Presa di Roma c’è un esempio chiave, che è quello del trattamento privilegiato all’Opera romana pellegrinaggi. Non credete che ci sia il rischio di vedere impoverita la sua immagine pubblica?
Lanna: Questi sono discorsi che toccano un piano troppo astratto. Un piano diciamo pure un po’ troppo sovrastrutturale. Se iniziamo a pensare che esista davvero la destra bisamarckiana o la destra sociale si ragiona non per realtà oggettive, ma solo con schemi teorici che nella politica si utilizzano per rappresentare gli interessi di realtà valoriali. Parliamo di cose concrete. Credo che la partita politica di Alemanno sia dare un’amministrazione di Roma con un modello nuovo che lasci un segno. C’è una frase di Mehmet II, il conquistatore musulmano di Costantinopoli, che credo sia a questo proposito molto significativa. Alla domanda “Cosa è la politica”? Mehmet II rispose: “L’arte di costruire città e riempire di felicità il cuore della gente”, cioè costruire realtà spazi veri e dare un tessuto sociale e rispetto all’emergenza insicurezza, che non è legata solo alla cronaca nera. Chi investe in un amministratore vuole queste risposte. Sono queste le questioni sulle quali sono chiamati a dare una prova di discontinuità e di vero decisionismo. Le multe, le buche, la viabilità…
Foglio: Attenzione. E’ vero che volere una città ben amministrata è la prima esigenza del cittadino ma poi si vota anche seguendo altri criteri, per esempio cercando di capire in nome di che cosa si amministrerà la città. Ma è evidente che per essere qualcosa bisogna essere stati qualcosa e che se cancelli quel minimo di memoria condivisa prima o poi la paghi.
Storace: Amministrare la città in nome di qualcosa significa anche dare un po’ della città nelle mani dei cittadini. Voglio lanciare una proposta: una proposta di cui parlerò in modo più approfondito anche con il sindaco. Sarò breve. In questi giorni in Parlamento si è deciso che la presenza dei comuni non deve andare oltre il 30 per cento delle società municipalizzate. A Roma c’è Acea che è un caso significativo. Oggi il comune ha il 51 per cento di questa azienda che porta acqua e luce ai cittadini romani. Ecco la proposta: se devo ridurre al 30 per cento la presenza del Campidoglio nell’azienda perché non introdurre in Acea una forma sperimentale di partecipazione privata dei lavoratori? Una serie di privati che ci mettono un po’ di soldini e che fanno propria un’azienda simbolo della città? Perché il sindaco non ci pensa a fare una sorta di assessorato alle partecipazioni?
Croppi: Francesco, tu appartieni a un’élite che è attenta a questi segnali simbolici ma, come tra l’altro è ben descritto nel libro di Cerasa, sono i piccoli casi, i piccoli esempi che determinano la soddisfazione e l’insoddisfazione dei cittadini. Sono le strade promesse e poi realizzate che aiutano ad accrescere la credibilità di un sindaco. Non le parole. La tua proposta poi non mi convince. Ho ricominciato a rivedere i capisaldi della nostra infanzia nella destra sociale da quando stavo nell’Msi. La partecipazione non credo sia una buona soluzione. E’ una proposta suggestiva. Per essere concreti, l’apertura dell’Acea alla partecipazione azionaria di lavoratori potrebbe coprire una parte inferiore all’1 per cento e rischierebbe persino una scarsa adesione e qualche disastro. E’ molto suggestiva ma poco praticabile.
Storace: Umberto, ma come, non ricordi? Non ricordi che la Democrazia cristiana ci ha insegnato che quello che conta è quello che prometti, non quello che hai fatto. Suvvia, non ti sei mai accorto che in questo paese ha governato per 40 anni la Dc non per quello che realizzava ma per quello che prometteva?
venerdì 6 novembre 2009
La presa di Roma sul Magazine del Corriere della Sera
Vi spiego perché a Roma la destra durerà al potere
Claudio Cerasa, 27 anni, redattore capo de Il Foglio, è autore del libro La presa di Roma, edito da Bur-Rizzoli nella collana Futuropassato, dedicato alla novità rappresentata dalla giunta Alemanno
Come definirebbe la nuova classe politica di centrodestra di Roma?
“In grande evoluzione, effervescente, quindi in crescita, potenzialmente candidabile a un’alternativa di governo, può contare su un po’ di Chiesa, imprenditori, costruttori. Infatti è più vivace del centrodestra nazionale che ormai sembra al suo apice”
Un dato non positivo?
“Alemanno si è ritrovato a governare la coda del veltronismo. E così è stato un po’ Veltroni nel suo rapporto con la Roma Potentona, a tratti sembra che si lasci travolgere. Invee ha le carte in regola per emergere. Durerà? Credo di sì, tranquillamente, non ha opposizione”.
A proposito: e il centrosinistra romano?
“Vive una confusione bestiale, ciò accellera la ricerca di una giusta e rapida via d’uscita. Il centrodestra si è affidato a leader maturi. Invece il centrosinistra rischia di restare ancorato alle figurine Panini. La grammatica obamiana funziona se hai Obama a disposizione. Altrimenti non serve a niente”.
Paolo Conti
5/11/09
martedì 3 novembre 2009
La Presa di Roma su Repubblica
Nella storia di Roma, politica ma non solo, il 28 aprile 2008, elezione del "nero" Gianni Alemanno al soglio capitolino, è stato e resterà un giorno decisivo per comprendere cosa sia cambiato nel Paese. Come. Perché. E con una scelta evidentemente voluta, che gioca con la ricorrenza dei calendari, nell´ottantasettesimo anniversario della marcia su Roma (28 ottobre 1922), è arrivato in libreria La presa di Roma (Rizzoli, pagg. 208, euro 9.80) l´ultimo lavoro di Claudio Cerasa, eccellente giornalista del Foglio, cronista vivace e solido. «Cosa si nasconde - si chiede Cerasa - dietro la straordinaria ascesa di Gianni Alemanno? Per quali ragioni una città decide di affidare la propria sorte a un uomo dal passato così movimentato? Perché la destra sa parlare di sicurezza meglio della sinistra? Quali affari miliardari si nascondono dietro al governo dei diversi sindaci di Roma?».
Con il passo dell´inchiesta e metodo da entomologo, a queste domande Cerasa dà delle risposte. E - ciò che più importa - con nomi e cognomi, date, numeri, circostanze. Restituendo un quadro del Potere che muove la città, i suoi nessi, i suoi snodi, utile non solo a chi la abita, ma anche ai molti e confusi osservatori che, non conoscendone né l´anima, né la geografia, né le profonde discontinuità sociali e culturali che l´hanno attraversata negli ultimi vent´anni, si ostinano a semplificarne il tratto, aggiornando periodicamente il rosario di luoghi comuni che si è guadagnata nei secoli.
La "Presa di Roma" ha il pregio di illuminare, chiamandolo con il suo nome, il tratto politico della vittoria di Alemanno e, più in generale, del centro-destra che si è fatto maggioranza nel Paese. Alemanno vince con la Plebe che preme alle porte del fortilizio patrizio ormai identificato come la vera costituency della Roma di Veltroni. Racconta dunque il capovolgimento dei canoni dell´appartenenza politica, proletaria e borghese. Con una vittoria che, non a caso, comincia e viene costruita in quella cintura periferica, Ponte di Nona, che le amministrazioni del centro-sinistra avevano immaginato come monumento moderno e urbanisticamente sostenibile in cui alloggiare proletariato, piccola e media borghesia, storicamente "rosse" e da tempo espulse dal cuore della città. Abbandonate al loro senso di insicurezza materiale e fisica (reale e "percepita"). Alla prossimità imposta con gli ultimi degli ultimi (Rom e nuova immigrazione rumena).
Dopo un quindicennio di governo del centro-sinistra, la destra ha la fame, la forza e la disperazione degli esclusi. E vince non per un nuovo progetto o idea di città, di cui nel libro non a caso non c´è traccia. Vince per consunzione naturale dell´avversario e soprattutto perché i veri padroni di Roma, i suoi poteri forti - costruttori, manager delle municipalizzate, circoli Vaticani, lobby dei tassisti - nella migliore tradizione trasformista e cinica della città si liberano di un cavallo sfiancato (il Pd di Veltroni e Rutelli) da cui hanno ottenuto tutto quello che potevano ottenere e salgono sul nuovo, disposto, pur di vincere, a qualunque patto.
Il mantra di Alemanno e della sua campagna - "Sbullonare Roma" - se suona musica alle orecchie della Plebe, diventa così l´anticamera del suo inganno. Perché nelle scelte del nuovo Sindaco, nella sua nuova geografia del Potere - come Cerasa documenta - in realtà, quella Plebe viene (ri)consegnata allo stesso blocco Patrizio di cui, a parole, il neo sindaco ha promesso di volersi sbarazzare. Insomma, di rivoluzionario, nella nuova Presa di Roma c´è solo il rumore e la forza delle parole, la straordinaria suggestione della Storia, la prima volta degli esclusi da sempre. C´è soprattutto un presagio. Che una volta finito di "sbullonare" con furia la città i suoi nuovi padroni politici ne vengano rapidamente digeriti.
Carlo Bonini
3/11/09
lunedì 2 novembre 2009
L'introduzione della Presa di Roma
Ecco qui l'introduzione del libro la Presa di Roma, scritto dal titolare del blog
Che cosa succede quando la Capitale di un Paese cambia colore politico dopo quindici anni? Chi sono gli uomini che oggi hanno in mano il vero controllo di Roma? Con le elezioni del 28 aprile 2008 vi è stata una storica inversione di rotta che ha sconvolto completamente la geografia del potere non solo romano ma anche italiano: il blocco di consenso legato al centrosinistra di Walter Veltroni si è sgretolato e il centrodestra di Gianni Alemanno ha conquistato Roma. Gli equilibri ormai logori della città sono crollati in un lampo: dalle periferie più disagiate, vecchie roccaforti rosse, alle lobby più intoccabili, si è assistito a una vera e propria rivoluzione. In quei mesi, e in quelli successivi, ci si è ritrovati di fronte sia a una realtà che si stava profondamente trasformando sia a indistruttibili poteri che a poco a poco prendevano nuove forme. La Roma di oggi è come un fiume dopo la tempesta: il letto del torrente svela chi ha resistito alla piena e chi no, e rivela chi l’onda l’ha patita e chi l’ha dominata. Dopo il subbuglio, le acque tornano trasparenti e le cose appaiono più nitide. Ecco, cosa si nasconde dietro la straordinaria ascesa di Gianni Alemanno? Per quali ragioni una città decide di affidare la propria sorte a un uomo dal passato così movimentato? Perché la destra sa parlare di sicurezza meglio della sinistra? Quali affari miliardari si nascondono dietro al governo dei diversi sindaci di Roma? Quali sono i poteri forti che Alemanno è riuscito a conquistare? Chi sono gli uomini che insieme al nuovo sindaco stanno preparando un piano per tentare nel 2013 di succedere all’attuale presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi? Questo libro nasce dall’esigenza di trovare una risposta a queste e a molte altre domande, dalla volontà di capire cosa sta succedendo in questo momento nel nostro Paese e dalla necessità di conoscere i volti di chi muove i destini della Capitale. Per fare questo, per tentare di spiegare la Roma di oggi, bisogna entrare nella città che non si vede, parlare con le persone che la tengono in pugno, bisogna andare nelle stanze dei palazzi di potere, ascoltare le esigenze dei tassinari più agguerriti, dei circoli sportivi più esclusivi, i desideri delle zone più marginali, dei curvaroli, dei postfascisti. Bisogna osservare la storia e le posizioni dei costruttori, delle banche, degli imprenditori, della Chiesa. E mettere insieme le tessere di un mosaico di voci – quelle dei vinti e quelle dei vincitori – per riuscire a vedere chi, da dietro le quinte, comanda davvero la Capitale d’Italia.
Roma, ottobre 2009
sabato 31 ottobre 2009
La Presa di Roma sul Foglio
Perché Alemanno dovrebbe trattare questo libro come uno specchio
Se Gianni Alemanno fosse scaltro e svelto come ce lo ricordiamo, si berrebbe in un sorso solo “La presa di Roma” e l’appenderebbe poi sulla parete dello studio da sindaco in Campidoglio. Come fosse uno strano specchio parlante che gli restituisca lacerti della propria verità e lo ammonisca sull’epilogo del veltronismo romano. Il titolo è potente ma non deve far paura: non evoca la marcia su Roma più di quanto induca a sperare che la conquista dell’Urbe da parte della destra alemanniana si risolva in qualcosa di diverso dal sacco dei Lanzichenecchi (1527). Non c’è alcuna sentenza precostituita. Dopotutto poteva andare peggio, invece Cerasa ha scritto questo suo libro con la testa e non con il cuore rovente di un qualunque animoso ex consanguineo in cerca di guai (altrimenti, per capirsi, si starebbe commentando qualcosa tipo “Le oche del Campidoglio”). Tutt’altro. L’autore è uno sgobbone straniero al mondo della destra, è uno che ha studiato dall’esterno e infatti, come già rilevato dal finiano Luciano Lanna sul Secolo d’Italia, si nota qui e là qualche veniale sbavatura nella sua rappresentazione del clan alemanianno. Al netto dei pregiudizi di parte, tuttavia, Cerasa è arrivato re in un bacino conchiuso i rivoli della rivoluzione andata in scena quasi due anni fa nella Capitale (la destra alla prova del comando), e sopra tutto ci è arrivato con un’attenzione meticolosa e una curiosità perfino sovrabbondante. Bisogna dargliene atto. Come si deve riconoscere che il lavoro è molto documentato anche quando può apparire molesto agli occhi del sindaco, ritratto come l’amministratore unico dell’insicurezza romana (sia quella percepita sia quella reale) grazie alla quale è riuscito a sbaragliare la concorrenza del pallido Francesco Rutelli. Notevole poi è il racconto delle liaison tra Alemanno e il mondo guelfo che aveva voltato le spalle a Veltroni per via delle sue scappatelle con la lotta di genere (matrimoni omosessuali e relativi registri comunali), un rapporto durevole e antico. Sbaglia, al riguardo, il finiano Lanna quando rivendica polemicamente il percorso di avvicinamento tra missini e ciellini già avviato negli anniOttanta nelle università romane. Sbaglia, Lanna, perché la filogenesi di questa complicità teorica e pratica che ha portato Alemanno a farsi araldo e operaio della dottrina giudeocristiana nel libro di Cerasa è descritta con precisione.Basta leggere bene, senza diffidarne da lontano. Eppure la destra diffida e diffiderà di questo saggio che risulta più svantaggioso per uomini di potere come Caltagirone o per altri suoi colleghi palazzinari, per non dire di come esce malconcio lo stesso sistema arnifica mitopoiesi culturale da centro storico. Ma noi conosciamo per esperienza diretta il grado di sospettosità dei dirigenti post fascisti. E’ un moto dell’anima spesso comprensibile, poiché maturato in lunghi anni di discriminazione subìta senza poter opporre la propria versione, senza poter spiegare l’ingiustizia della propria minorità. Ma oggi tutto questo non è più. Alemanno e i suoi virgulti ormai cresciuti sono un fenomeno egemonico, non soltanto dal punto di vista elettorale. Non devono prendersela a male se qualcuno ricorda loro che stanno amministrando Roma anche grazie alla falange dei tassisti; in virtù della non belligeranza con la lobby del mattone o dei circoli di canottaggio; forti di un personale interno un po’ preso in prestito dalle riserve democristiane, un po’ residuato dai rivoli delle catacombe. Giacché né ad Alemanno né ai suoi intimi (come Rampelli, Augello e Croppi) fanno difetto gli strumenti per scendere a patti con certi dati di realtà o la solidità culturale per rendere ragione delle proprie astuzie quotidiane. Cerasa – lo si capisce benissimo studiando il suo libro, ma si può equivocare se lo si scorre a strattoni immusoniti – non ha costruito un lavoro a tesi. Certo non è un simpatizzante alemanniano, ma tradisce semmai un’inquieta fascinazione nei confronti del branco dei Lupomanni che ha preso Roma dopo averla accerchiata e sedotta.
Alessandro Giuli
Il Foglio, 31 ottobre 2009
La Presa di Roma sul Secolo d'Italia
La vittoria di Alemanno nel 2008? Una ricostruzione giornalistica riduce tutto alla "presa di Roma" | ||
Luciano Lanna Qui. |
La Presa di Roma sull'Ansa
La Presa di Roma su Palazzo Apostolico di Paolo Rodari
Cerasa in Vaticano
Dalla “Presa di Roma” di Claudio Cerasa (Bur, 218 pagine,9,80 euro) - un volume dedicato al cambiamento che Roma ha subìto dopo la vittoria di Gianni Alemanno alle amministrative dell’aprile 2008 - leggo il capitolo “Il Sindaco pellegrino”. Ovvero i rapporti inevitabilmente intrecciati tra lui, Alemanno, e la Santa Sede (in varie manifestazioni rappresentata). E scopro che, se un successore di Berlusconi mai ci sarà - è ovvio che ci sarà, il punto è indovinare quando - questo più che Fini potrebbe essere Alemanno. E il Vaticano c’entra. Nel senso che l’elettorato tendenzialmente cattolico - e quindi gran parte dell’elettorato moderato del centro destra: qui cattolico s’intende vicino idealmente ai princìpi della fede ma non necessariamente praticante - potrebbe scegliere lui nel caso si candidasse. Il Papa in qualche modo l’ha già benedetto: Ratzinger ha incontrato Alemanno otto (otto!) volte. L’ultima volta i due si sono visti al Campidoglio. Notare: “La presenza di un Pontefice al Comune è un evento oltre che storico anche piuttosto raro. Prima era successo appena tre volte”, scrive Cerasa. Il Papa ha mostrato un certa confidenza nei confronti di Alemanno quando, nel giugno 2008, gli ha detto queste parole (a rileggerle fanno impressione): “Roma comincia a essere consapevole dei suoi mali, e questa consapevolezza può aprire una nuova stagione, creare uno sforzo comune per ridare un volto bello e fraterno alla citta”. E poi tante altre cose. Fino alle varie modalità con le quali Alemanno ha ricambiato la super-cortesia vaticana: con lui sindaco di Roma, il 20 settembre (la giornata che ricorda l’annessione di Roma al Regno d’Italia, 1870), è diventata memoria degli zuavi pontifici morti per difendere il regno del Papa. Proprio di loro, degli zuavi pontifici. Il testo di Cerasa merita anche per un motivo stilistico: si raccontano gli intrallazzi - non c’è niente di male che vi siano intrallazzi, almeno secondo me - tra Comune e parti della Santa Sede, ma non si scade mai nel volgare, ovvero, nell’ideologia anti-papista.
Un po' del libro lo trovare QUI. Tutto il libro, invece, in libreria.
domenica 25 ottobre 2009
mercoledì 1 aprile 2009
martedì 31 marzo 2009
lunedì 30 marzo 2009
Giornali
Lo stesso discorso
venerdì 27 marzo 2009
L'evidentissima deriva a sinistra
mercoledì 25 marzo 2009
mercoledì 18 marzo 2009
Profumo di sola
(Per la cronaca: da inizio anno le azioni di Unicredit hanno perso il 58 per cento)