Immagino conoscerete bene la storia della moratoria contro la pena di morte per interruzione di gravidanza, della dieta speciale, del fate l'amore e non fate l'aborto.
Confesso che non ho ancora un'idea totalmente compiuta. Sono contrario all'abolizione dell'aborto, sono contrario all'abuso dell'aborto, sono a favore del safe, legal and rare della signora Clinton, sono contrario alla normalizzazione dell'aborto, sono contrario alla ru486 e considero l'aborto, comunque sia, un omicidio. Su questo non ho dubbi. Se una cosa sta per nascere e se non si fa nulla per interrompere quella cosa vuol dire che quella è una cosa ed è anche umana, se l'essere umano nasce così. Sono consapevole che ci siano dei casi in cui quella cosa è comprensibile che la si voglia abortire, sono convinto che andrebbero rinforzati i consultori ma sono altrettanto convinto che ci siano molte persone che abortiscono come se nulla fosse. Mi farò un'idea un po' più precisa, per il momento però mi sono riletto il pezzo scritto da Pier Paolo Pasolini il 19 gennaio 1975, sul Corriere della Sera e pubblicato oggi sul Foglio; e so che non c'è neppure una cosa su cui non sono d'accordo, almeno della prima parte. La seconda un po' si esagera, ma comunque eccolo qui, leggetelo; è molto bello.
Io sono per gli otto referendum del Partito radicale, e sarei disposto a una campagna anche immediata in loro favore. Condivido col Partito radicale l'ansia della ratificazione, l'ansia cioè del dar corpo formale a realtà esistenti: che è il primo principio della democrazia. Sono però traumatizzato dalla legalizzazione dell'aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell'omicidio. Nei sogni, e nel comportamento quotidiano – cosa comune a tutti gli uomini – io vivo la mia vita prenatale, la mia felice immersione nelle acque materne: so che là io ero esistente. Mi limito a dir questo, perché, a proposito dell'aborto, ho cose più urgenti da dire. Che la vita sia sacra è ovvio: è un principio forte ancora come ogni principio della democrazia, ed è inutile ripeterlo.
La prima cosa che vorrei invece dire è questa: a proposito dell'aborto, è il primo, e l'unico, caso in cui i radicali e tutti gli abortisti democratici più puri e rigorosi, si appellano alla "Realpolitik" e quindi ricorrono alla prevaricazione "cinica" dei dati di fatto e del buon senso. Se essi si sono posti sempre, anzitutto, e magari idealmente (com'è giusto), il problema di quali siano i "principi reali" da difendere, questa volta non l'hanno fatto. Ora, come essi sanno bene, non c'è un solo caso in cui i "principi reali" coincidano con quelli che la maggioranza considera propri diritti. Nel contesto democratico, si lotta, certo, per la maggioranza, ossia per l'intero consorzio civile, ma si trova che la maggioranza, nella sua santità, ha sempre torto: perché il suo conformismo è sempre, per la propria natura, brutalmente repressivo.
Perché io considero non "reali" i principi su cui i radicali e in genere i progressisti (conformisticamente) fondano la loro lotta per la legalizzazione dell'aborto?
Per una serie caotica, tumultuosa e emozionante di ragioni. Io so intanto, come ho detto, che la maggioranza è già tutta, potenzialmente, per la legalizzazione dell'aborto (anche se magari nel caso di un nuovo "referendum" molti voterebbero contro, e la "vittoria" radicale sarebbe molto meno clamorosa).
L'aborto legalizzato è infatti – su questo non c'è dubbio – una enorme comodità per la maggioranza. Soprattutto perché renderebbe ancora più facile il coito – l'accoppiamento eterosessuale – a cui non ci sarebbero più praticamente ostacoli. Ma questa libertà del coito della "coppia" così com'è concepita dalla maggioranza – questa meravigliosa permissività nei suoi riguardi – da chi è stata tacitamente voluta, tacitamente promulgata e tacitamente fatta entrare, in modo ormai irreversibile, nelle abitudini? Dal potere dei consumi, dal nuovo fascismo. Esso si è impadronito delle esigenze di libertà, diciamo così, liberali e progressiste e, facendole sue, le ha vanificate, ha cambiato la loro natura.
Oggi la libertà sessuale della maggioranza è in realtà una convenzione, un obbligo, un dovere sociale, un'ansia sociale, una caratteristica irrinunciabile della qualità di vita del consumatore. Insomma, la falsa liberalizzazione del benessere ha creato una situazione altrettanto e forse più insana che quella dei tempi della povertà. Infatti, primo risultato di una libertà sessuale "regalata" dal potere è una vera e propria generale nevrosi. La facilità ha creato l'ossessione; perché è una facilità "indotta" e imposta, derivante dal fatto che la tolleranza del potere riguarda unicamente l'esigenza sessuale espressa dal conformismo della maggioranza. Protegge unicamente la coppia (non solo, naturalmente, matrimoniale): e la coppia ha finito dunque col diventare una condizione parossistica, anziché diventare segno di libertà e felicità (com'era nelle speranze democratiche).
Secondo: tutto ciò che sessualmente è "diverso" è invece ignorato e respinto. Con una violenza pari solo a quella nazista dei lager (nessuno ricorda mai, naturalmente, che i sessualmente diversi son finiti là dentro).
E' vero; a parole, il nuovo potere estende la sua falsa tolleranza anche alle minoranze. Non è magari da escludersi che, prima o poi, alla televisione se ne parli pubblicamente. Del resto le "élites" sono molto più tolleranti verso le minoranze sessuali che un tempo, e certo sinceramente (anche perché ciò gratifica le loro coscienze). In compenso l'enorme maggioranza (la massa: cinquanta milioni di italiani) è divenuta di una intolleranza così rozza, violenta e infame, come non è certo mai successo nella storia italiana. Si è avuto in questi anni, antropologicamente, un enorme fenomeno di abiura: il popolo italiano, insieme alla povertà, non vuole neanche più ricordare la sua "reale" tolleranza: esso, cioè, non vuole più ricordare i due fenomeni che hanno meglio caratterizzato l'intera sua storia.
Quella storia che il nuovo potere vuole finita per sempre. E' questa stessa massa (pronta al ricatto, al pestaggio, al linciaggio delle minoranze) che, per decisione del potere, sta ormai passando sopra la vecchia convenzione clerico-fascista ed è disposta ad accettare la legalizzazione dell'aborto e quindi l'abolizione di ogni ostacolo nel rapporto della coppia consacrata.
Ora, tutti, dai radicali a Fanfani (che stavolta, precedendo abilmente Andreotti, sta gettando le basi di una sia pur prudentissima abiura teologica, in barba al Vaticano), tutti, dico, quando parlano dell'aborto, omettono di parlare di ciò che logicamente lo precede, cioè il coito.
Omissione estremamente significativa. Il coito – con tutta la permissività del mondo – continua a restare tabù, è chiaro. Ma per quanto riguarda i radicali la cosa non si spiega certamente col tabù: essa indica invero l'omissione di un sincero, rigoroso e completo esame politico. Infatti il coito è politico. Dunque non si può parlare politicamente in concreto dell'aborto, senza considerare come politico il coito. Non si possono vedere i segni di una condizione sociale e politica nell'aborto (o nella nascita di nuovi figli) senza vedere gli stessi segni anche nel suo immediato precedente, anzi "nella sua causa", cioè nel coito. Ora il coito di oggi sta diventando, politicamente, molto diverso da quello di ieri. Il contesto politico di oggi è già quello della tolleranza (e quindi c'è un obbligo sociale) mentre il contesto politico di ieri era la repressività (e quindi il coito, al di fuori del matrimonio, era scandalo). Ecco dunque un primo errore di realpolitick, di compromesso col buon senso; che io ravviso nell'azione dei radicali e dei progressisti nella loro lotta per la legalizzazione dell'aborto. Essi isolano il problema dell'aborto coi suoi specifici dati di fatto, e perciò ne danno un'ottica deformata: quella che fa loro comodo (in buonafede, su questo sarebbe folle discutere). Il secondo errore, più grave è il seguente. I radicali e gli altri progressisti che si battono per la liberalizzazione dell'aborto – dopo averlo isolato dal coito – Lo immettono in una problematica strettamente contingente (nella fattispecie italiana) e addirittura interlocutoria. Lo riducono a un caso di pura praticità, da affrontare appunto con spirito pratico. Ma ciò (come essi sanno bene) è sempre colpevole. Il contesto in cui bisogna inserire il problema dell'aborto è ben più ampio e va ben oltre l'ideologia dei partiti (che distruggerebbero se stessi se l'accettassero: cfr. "breviario di ecologia", di Alfredo Todisco). II contesto in cui va inserito l'aborto è quello appunto ecologico: è la tragedia demografica, che, in un orizzonte ecologico, si presenta come la più grave minaccia alla sopravvivenza dell'umanità. In tale contesto la figura – etica e legale – dell'aborto cambia forma e natura: e, in un certo senso, può anche esserne giustificata una forma di legalizzazione. Se i legislatori non arrivassero sempre in ritardo, e non fossero cupamente sordi all'immaginazione per restare fedeli al loro buon senso e alla loro astrazione pragmatica, potrebbero risolvere tutto rubricando il reato dell'aborto in quello più vasto dell'eutanasia, privilegiandolo di una particolare serie di "attenuanti" di carattere appunto ecologico. Non per questo esso cesserebbe di essere formalmente un reato e di apparire tale alla coscienza. Ed è questo il principio che i miei amici radicali dovrebbero difendere anziché buttarsi (con onestà donchisciottesca) in un pasticcio, estremamente sensato ma alquanto pietistico di ragazze-madri o: un tempo essi erano feste, e la loro stessa istituzionalità – così stupida e sinistra– era meno forte del fatto, appunto, felice, festoso. Ora invece i matrimoni sembrano tutti dei grigi e affrettati riti funebri. La ragione di queste cose terribili che dico è chiara: un tempo la "specie" doveva lottare per sopravvivere, quindi le nascite dovevano "superare" le morti. Oggi invece "la specie" se vuole sopravvivere deve fare in modo che le nascite non superino le morti. Quindi, ogni figlio che un tempo nasceva, era benedetto: ogni figlio che invece nasce oggi, è un contributo all'autodistruzione dell'umanità, e quindi è maledetto.
Siamo così giunti al paradosso che ciò che si diceva contronatura è naturale, e ciò che si diceva naturale è contronatura. Ricordo che De Marsico (collaboratore del Codice Rocco) in una brillante arringa in difesa di un mio film, ha dato del "porco" a Braibanti, dichiarando inammissibile il rapporto omosessuale in quanto inutile alla sopravvivenza della specie: ora, egli, per essere coerente, dovrebbe, in realtà, affermare il contrario: sarebbe il rapporto eterosessuale a configurarsi come un pericolo per la specie, mentre quello omosessuale ne rappresenta una sicurezza. In conclusione: prima dell'universo del parto e dell'aborto c'è l'universo del coito: ed è l'universo del coito a formare e condizionare l'universo del parto e dell'aborto. Chi si occupa, politicamente, dell'universo del parto e dell'aborto non può non considerare come ontologico l'universo del coito -– e non metterlo dunque in discussione – se non a patto di essere qualunquistico e meschinamente realistico. Ho già abbozzato come si configura, oggi, in Italia, l'universo del coito, ma voglio, per concludere riassumerlo. Tale universo include una maggioranza totalmente passiva, e nel tempo stesso violenta, che considera intoccabili tutte le sue istituzioni, scritte e non scritte. Il suo fondo è tuttora clerico-fascista con tutti gli annessi luoghi comuni. L'idea dell'assoluto privilegio della normalità è tanto naturale quanto volgare e addirittura criminale. Tutto vi è precostituito e conformistico, e si configura come un "diritto": anche ciò che si oppone a tale "diritto" (compresa la tragicità e il mistero impliciti nell'atto sessuale) viene assunto conformisticamente. Per inerzia, la guida di tutta questa violenza maggioritaria è ancora la chiesa cattolica. Anche nelle sue punte progressiste e avanzate (si legga il capitoletto atroce a pag. 323 de "La chiesa e la sessualità" del progressista e avanzato S. H. Pfurtner). Senonché… senonché nell'ultimo decennio è intervenuta la civiltà dei consumi, cioè un nuovo potere falsamente tollerante che ha rilanciato in scala enorme la coppia privilegiandola di tutti i diritti del suo conformismo. A tale potere non interessa però una coppia creatrice di prole (proletaria), ma una coppia consumatrice (piccolo-borghese): "In pectore", esso ha già dunque l'idea della legalizzazione dell'aborto (come aveva già l'idea della ratificazione del divorzio). Non mi risulta che gli abortisti, in relazione al problema dell'aborto abbiano messo in discussione tutto questo. Mi risulta invece che essi, in relazione all'aborto, tacciano del coito, e ne accettino dunque – per "Realpolitik", ripeto – in un silenzio dunque diplomatico e dunque colpevole – la sua totale istituzionalità, irremovibile e "naturale". La mia opinione estremamente ragionevole invece è questa: anziché lottare contro la società che condanna l'aborto repressivamente, sul piano dell'aborto, bisogna lottare contro tale società sul piano della causa dell'aborto, cioè sul piano del coito. Si tratta – è chiaro – di due lotte "ritardate": ma almeno quella "sul piano del coito" ha il merito, oltre che di una maggiore logicità e di un maggiore rigore, anche quello di un'infinitamente maggiore potenzialità d'implicazioni.
C'è da lottare, prima di tutto, contro la "falsa tolleranza" del nuovo potere totalitario dei consumi, distinguendosene con tutta l'indignazione del caso; e poi c'è da imporre alla retroguardia, ancora clerico-fascista, di tale potere, tutta una serie di liberalizzazioni "reali" riguardanti appunto il coito (e dunque i suoi effetti): anticoncezionali, pillole, tecniche amatorie diverse, una moderna moralità dell'onore sessuale ecc. ecc. Basterebbe che tutto ciò fosse democraticamente diffuso dalla stampa e soprattutto dalla televisione, e il problema dell'aborto verrebbe in sostanza vanificato, pur restando, come deve essere, una colpa, e quindi un problema della coscienza. Tutto ciò è utopistico? E' folle pensare che un' autorità" compaia al video reclamizzando "diverse" tecniche amatorie? Ebbene, non sono certo gli uomini con cui io qui polemizzo che debbono spaventarsi di questa difficoltà. Per quanto io ne so, per essi ciò che conta è il rigore del principio democratico, non il dato di fatto (com'è invece brutalmente, per qualsiasi partito politico). Infine: molti – privi della virile e razionale capacità di comprensione – accuseranno questo mio intervento di essere personale, particolare, minoritario. Ebbene?
Cerazade ha cambiato indirizzo, e ora è qui
venerdì 4 gennaio 2008
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1 commento:
Scusa se mi permetto, ma vorrei dirti un paio di cose. La prima riguarda la "cosa": quella "cosa" è un essere umano e lo dici implicitamente esponendo la sacrosanta equazione aborto=omicidio. Non si deve aver paura di chiamare le cose col loro nome... guardiamo le fote dei risultati di un aborto al 2°-3° mese... gambe braccia testa spappolate in un cestino della spazzatura. "Sono consapevole che ci siano dei casi in cui quella cosa è comprensibile che la si voglia abortire" allora traduciamolo "Sono consapevole che ci siano dei casi in cui quella PERSONA è comprensibile che la si voglia UCCIDERE"... NO, NO E NO. Non esistono casi del genere, ci sono genitori che portano a termine gravidanza di figli che sono destinati a morire in pochi giorni, madri malate che rifiutano cure vitali pur di non aboritre (e in tanti casi sono i figli che portano in grembo a guarirle). Nessuna madre si pente di non aver abortito, mentre quelle che lo fanno si portano dentro, al posto del figlio, un perenne senso di colpa che ha del tragico (leggi alcune lettere al Foglio). Anche la posizione della Clinton ha lati oscuri: in sostanza si ritiene l'aborto un diritto, ma poi lo si vuole "rare"... quale diritto umano si auspica raro nella sua applicazione?
Io ritengo la Legge 194 totalmente iniqua, ingisuta, disumana. Sono altresì convinto che il primo passo sia una sua corretta applicazione perchè non accada, come dici giustamente, che si abortisca "come se nulla fosse". Non auspico certo la persecuzione legale delle donne che decidono di abortire, ma voglio anche essere libero di dire che la 194 può (e deve, per me) essere modificata.
Scusa lo sfogo, non è una bacchettata ma solo uno sfogo. Pronto a confrontarmi con te, ti saluto caramente.
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