venerdì 1 ottobre 2010

Ragazze di vita, Rolling Stone giugno. Il caso Marrazzo un anno dopo

Il caso Marrazzo un anno dopo. Storia delle ragazzone di vita di Roma

Quando l’hanno ritrovata accucciata dentro un enorme sacco dell’immondizia con la gola tagliuzzata da sette colpi di pugnale e con il cuore che aveva smesso di battere da una dozzina di giorni, aveva ancora un anello di bigiotteria con dodici piccole pietre laterali ficcato nell’anulare destro, un paio di gustosi sandali neri con il tacco molto alto e un pacchetto di preservativi appena acquistato chiuso nella tasca stropicciata del suo cappotto color mandorla accanto a una ciocca di capelli finti e a un correttore usato la notte per coprire le macchie sulla pelle. Ansa, 28 dicembre 2009: “Ostia, recuperato cadavere nel fiume. L’inchiesta al pm del caso Marrazzo”. La corretta scansione temporale degli eventi dice che il killer l’ha abbordata, l’ha portata in macchina, le ha tappato la bocca, l’ha sentita smettere di respirare, poi l’ha ficcata nel bagagliaio di un fuoristrada e dopo aver percorso gli ottocento metri che separano il viottolo che costeggia il canneto sull’argine del fiume, a pochi passi da Ostia, e a pochi metri dall’Idroscalo, l’ha infilata in un sacco nero dandola in pasto ai topi alle nutrie che si trovano in quel territorio bonificato e lasciandola marcire lì dentro per almeno quindici giorni. Ai Ris è poi bastato un piccolo lembo di epidermide dell’indice della mano destra per dare un nome al corpo della donna: Giovanna. Qui a Ostia la conoscevano tutti, Giovanna: abitava e lavorava nella zona di Castel Fusano, a poca distanza dal fitto viale di alle porte di Ostia Antica dove la notte si ritrovava insieme con le sue colleghe (c’erano molte colombiane, diverse brasiliane e ultimamente anche parecchie argentine) e dove il suo cadavere è stato visto per la prima volta la notte di Santo Stefano. Giovanna era una di quelle generose signore che vivevano la notte strette nelle loro canottiere attillate – con scollature abbondanti, con jeans scuri attillati, borsette firmate e luci delle torce attivate con abilità intermittente per incantare quotidianamente il viandante di passaggio – il cui nome si ritrova spesso riquadrato negli annunci che compaiono dopo le offerte di lavoro alla fine dei giornali. A.A.A. Clodio transex bionda esageratissime emozioni abbondantissimo decoltè cercami A.A.A. Favolosa transessuale italiana 25enne bellissima sexy zona Cassia chiamami. A.A.A. Marconi appena arrivata trans 19enne decoltè insuperabilissime sensazioni chiamami. A.A.A. Termini potentissima trans nera grandi emozioni chiamami anche domani. A.A.A. trans grandissime emozioni 100 % disponibile veramente coccolona chiamami. A Ostia la chiamavano tutti così, “Giovanna”, sapevano che viveva sul litorale da quasi un anno, sapevano che era una delle più brave del lido, sapevano che sognava di fare l’estetista, sapevano che non aveva un permesso di soggiorno ma non sapevano che il nome di battesimo di Giovanna non era Giovanna, era un altro: era Carlos Eduardo Fernandes. E Carlos da Rio de Janerio detto Giovanna, con la sua storia, con la sua vita e con la sua esistenza vissuta nel cuore della nuova periferia romana, sarebbe piaciuta da impazzire alla penna di Pier Paolo Pasolini.

I carabinieri, forse qualcuno se lo ricorderà, hanno ripescato il corpo di Giovanna in un momento molto particolare. Erano i giorni i cui le redazioni dei giornali ricevevano quotidianamente tonnellate di veline relative a questo o a quel politico legato a questa o a quell’inchiesta a luci rosse: con i nomi di calciatori famosi, di politici rinomanti, di imprenditori affermati che comparivano in misteriosi e anonimi verbali sulle scrivanie dei cronisti. Erano insomma i famosi giorni dei trans: delle immagini che immortalavano indefinite polverine bianche depositate su fini tavoli di cristallo e dei pubblici ministeri impegnati giorno e notte a pronunciarsi sull’attendibilità di formosi omaccioni dai nomi esotici – Brenda, Jennifer, Rachele, Samantha – diventati protagonisti assoluti dell’ultimo trasgressivo e sanguinolento inverno capitolino. Un inverno in cui, quella di Giovanna, è stata, ed è ancora, una morte molto sospetta: forse legata a quella lunga serie di inquietanti intimidazioni ricevute dai transessuali romani – “Cazzi vostri se raccontate qualcosa dei vostri clienti: tenete chiuse quelle bocche” – tra l’autunno e l’inverno dello scorso anno, tra telefonate anonime, visite notturne non richieste, minacce di morte quotidiane, case in fiamme nel cuore della notte e copri ritrovati senza vita tra gli argini del Tevere. E’ successo con Brenda (la trans morta del caso Marrazzo), è successo con la sua amica Natalie, è successo con gran parte dei trans più famosi della Capitale, è successo anche con Giovanna; e non è certo una coincidenza se sul caso ha iniziato a investigare lo stesso pubblico ministero che dall’ottobre 2009 indaga sui gialli legati al caso Marrazzo (Rodolfo Gabelli). Nella storia di Giovanna c’è però qualcosa che va al di là della semplice cronaca giudiziaria, e che perfettamente rientra in quella ricca antologia dei buchi neri della città eterna in cui nascono i più affascinanti orrori di cronaca nera. Il fascino multiforme del tessuto periferico romano è stato per anni oggetto di strabilianti analisi letterarie pasoliniane, ma quelle zone effervescenti in cui la mente di Pasolini si immergeva per contaminarsi di esperienze e di ragazzi di vita altrimenti introvabili costituisce oggi il teatro di un frizzante spettacolo per certi versi infernale. Uno spettacolo dove i protagonisti vivono in un indefinito ambiente border line i cui luoghi, un tempo caratterizzati da un’irresistibile esplosione creativa, si ritrovano improvvisamente avvolti in una nube asfissiante: la cui presenza viene periodicamente svelata da fattacci di cronaca nera di cui i trans, con i loro corpi inafferrabili ed esteticamente indecifrabili, sono spesso vittime involontarie. E quando a Roma dici zona border line, quando cerchi di descrivere quello spazio misterioso che abbraccia le mura della Capitale, intendi dire qualcosa in più che una semplice zona periferica cittadina. “Si piomba – scrive Valerio Magrelli nel suo libro “Esercizi di tiptologia” (Einaudi 1992) – in un reticolo di vie, villette, prati, campi che annichilisce la facoltà di orientamento e annichilisce il paesaggio circostante. Il cataclisma ha generato aree enormi ed informi, una campagna ibridata, sintetica, mentre tintinna una spettrale catena di nomi che cinge l’urbe in una abbraccio funebre: la catenina d’oro e la marana, aureola, cintura sanitaria e pozzo nero. Pozzo nero”. Una spettrale catena di nomi che scandisce la geografia più estrema della città – il suo limes, il suo confine ultimo – con un’estetica sinistra persino nella toponomastica. E mettere insieme i nomi di questi quartieri lontani dal cuore della Capitale è quasi come battere su un tamburo. Ascoltate: Malnome, Malpasso, Malafede, Malagrotta, Valle Oscura, Passoscuro, Fosso Sanguinara, Femminamorta, Pantano dell’Intossicata, Campo di Carne Ponte del Diavolo, Cessati Spiriti, e Fontana del Bandito, Quarto de l’Impiccati, Coccia di Morto, Valle della Morte, Colle delle Forche, Canale del Morto, Canale del Mortaccino, Cavallo Morto, Lestra della Morte, Caronte, Piscina della Tomba, Pantano dell’Inferno e l’Infernetto: ovvero quel piccolo quartiere cerniera tra Roma e Ostia in cui Pasolini spesso capitava e in cui Giovanna da tempo vi abitava.

Le storie periferiche dei transessuali romani rivelano anche un tratto un po’ politico e un po’ antropologico non proprio insignificante. Gli anni ruspanti di Pasolini erano infatti coincidenti con una forte presa della parte politica che lo scrittore rappresentava (i comunisti) proprio nelle zone in cui nacquero super romanzi come Ragazzi di vita (1955). All’epoca, Roma era il simbolo di quelle periferie che avevano iniziato ad arricchire di consensi il bacino elettorale dei partito comunista, e nelle strategie di conquista degli effervescenti territori marginali di una Capitale la grande scuola della sinistra romana era diventata un modello per tutto il resto dell’Italia. Una volta morto Pasolini, Roma non ha più trovato un intellettuale capace di rielaborare con intelligenza le esigenze di quelle estreme zone romane inevitabilmente diventate nel corso degli anni (vedi per le ultime elezioni) il simbolo della disfatta del centrosinistra in questa preziosa porzione d’Italia. “A Roma – ci racconta l’ex vicesindaco Walter Tocci, che oltre che essere stato comunista ammette anche di essere un pasoliniano de fero – il problema dei confini della città, non solo urbanistico ma soprattutto letterario, è quello di avere una serie di nuclei chiusi separati l’uno dall’altro che determinano una frequente ricorrenza di oscure sacche geografiche all'interno della città. E’ in queste zone, in questi margini discontinui che oggi più di ieri avrebbero fatto impazzire d’amore Pasolini, che si sono verificati omicidi come quello di Giovanna Reggiani, stupri come quelli degli sposini olandesi e assassini come quelli dei trans, e come quello di Ostia. Si sa: a Roma, probabilmente più che in ogni altra città d’Italia, la parola marginalità coglie sia il significato sociale che quello urbanistico”. Ed è proprio in questo gioco perverso dove diabolicamente si mescolano rossetti, fondo tinta, tacchi alti, correttori, sacchi neri, preservativi e donne labbrute con barba sfumata e ottava di reggiseno; in questo gioco dove lussuosi cantieri navali del porto turistico di Ostia tornano periodicamente a simboleggiare un preciso cambio di paradigma culturale Pasolini, se fosse ancora vivo, si sarebbe certamente fermato per prendere carta e penna, per studiare il caso di Brendona e di Giovannona e scrivere un gran libro ambientato a Ostia e intitolato probabilmente più o meno così: “Ragazzone di vita”.
Claudio Cerasa
Rolling Stone, luglio 2010

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