La Presa di Roma sulla Stampa/3
Augello, lo stratega che dopo Roma prova a conquistare il Lazio
Il problema, disse Andrea Augello, fu di esaltare in Gianni Alemanno le qualità che facessero gola agli elettori moderati in prestito alla sinistra. «Lo abbiamo fatto così bene, che alla fine abbiamo preso voti di sinistra, di sinistra vera».
Oggi si discute ancora su quanto abbia inciso il lavoro di Augello nella presa di Roma. Quanto gli deve Alemanno? E quanto gli deve per la sconfitta di due anni prima, quando rivinse Walter Veltroni al termine di una campagna elettorale cui Augello si era rifiutato di prendere parte? Lui, Augello, oggi la risolve così: «Nel 2006 Alemanno non ha perso perché non c’ero io, ma non c’ero io perché Alemanno avrebbe perso». In ogni caso, se ne discute ancora perché nel centrodestra, con fantasia traballante, c’è chi dice che Augello è come quel mister Wolf di Pulp Fiction, uno che arriva quando c’è un guaio da risolvere.
E se ne discute per pronosticare quanti voti di sinistra, di sinistra vera, sarà capace di portare a Renata Polverini. Una che, sull’altra sponda, gode già di qualche simpatia. Andrea Augello è nato nel 1961 e con Claudio Velardi, Fabio Rampelli e Beatrice Lorenzin è nella squadra che deve portare la Polverini nella stanza di governatore del Lazio che fu di Piero Marrazzo. Di Velardi si sa tutto. Ex comunista, ex Pds, ex Ds. Era uno dei Lothar di Massimo D’Alema a Palazzo Chigi ed è considerato un estroso della comunicazione. Fabio Rampelli, come Augello, è un ex del Movimento sociale. Inutile riparlare degli anni delle botte in piazza eccetera. Oggi si sintetizza così: Augello ha saputo rimettere alla stessa tavola il partito e la borghesia romana, che per decenni aveva avuto imbarazzo, se non schifo, a fare comunella coi neri.
E la faceva coi rossi o i bianchi. Rampelli ha saputo rimettere alla stessa tavola la borghesia e il popolo. Quanto a Beatrice Lorenzin, lei ha tutta un’altra storia. E’ nata a San Camillo, Roma, trentotto anni fa. Ha fatto sempre politica in Forza Italia e nel ‘99, quand’era ragazzina, Silvio Berlusconi la fece coordinatore regionale. I risultati sono arrivati. Lei è una che conosce le periferie, Ostia e Acilia, soprattutto, e alle Politiche del 2006 si vide il risultato perché lì, in alcune delle borgate rosse, Forza Italia divenne il primo partito. Di tutti questi, Augello è però il più interessante. E’ un esempio perfetto di quella destra nuova, venuta su negli anni Ottanta, e che uscì dalle catacombe cominciando col cambiarsi la camicia.
In una cronaca del ‘93, è una destra descritta così: «Quasi tutti vestono come i compagni di un tempo, maglioni, pantaloni a tubo, qualcuno coi capelli lunghi, scarpe Clark, c’è persino una borsa di Tolfa». Nella Presa di Roma, libro di Claudio Cerasa, il ritratto di Augello è questo: «E’ sempre stato l’espressione di quella destra considerata un po’ pariola, un po’ chic, senza più pantaloni stretti e anfibi neri ma con Fred Perry e New Balance». E cioè: «Quei militanti in giacca e cravatta che da diciottenni, invece che sognare la rivoluzione, sognavano di fare i deputati». E però raccontano che un giorno si prese male con Maurizio Gasparri, fra i due cominciò una discussione aspra, e Augello, che è ben più grosso, prese Gasparri e gli infilò la testa in una pozzanghera; che sia storia vera o una balla conta poco: che la si racconti dice molto della fama di Augello.
Che, adesso, ha quella dell’erede di Goffredo Bettini, per delicatezza del tratto e capacità di stare nel mondo, ma poi è uno che ha amicizie (così si dice) fra i tassinari più incattiviti. Che nasce nella tradizione della destra sociale, e quindi non stupisce se stringe sodalizio con Anna Finocchiaro del Pd, ex comunista, insieme con la quale presenta un libro sulla strage dimenticata di Gela, anno 1943. Tesi del libro: fu tutta colpa degli americani. E insomma, si va a finire lì. Metti assieme uno come Velardi, una di strada come la Lorenzin, uno come Rampelli, li fai coordinare da Augello e viene in mente che nel Lazio, Alemanno più Polverini, la somma fa Fini. La Lorenzin dice che è banale: «Sarebbe tutto vero soltanto se noi fossimo il Pd, dove ci si combatte tra fazioni».
Augello ricorda che «nella storia del centrodestra, Fini ha la fiche di Roma almeno dal 1993». Tutta la classe dirigente (Silvano Moffa, Francesco Storace, Alemanno) è stata roba sua. Aggiunge che «se conquistassimo la Regione, la vittoria di Roma uscirebbe dalla categoria di episodio e prenderebbe la forma di una nascente polarità del centrodestra». Cioè un modo di fare governo. Un modo nuovo. Ma lì in mezzo qualcuno dice: con un potere simile, Fini si sentirebbe etologicamente più rassicurato, e forse non ne avrebbe tutte le ragioni.
Mattia Feltri
15/01/2010
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